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Comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate: Aumento aliquota Iva al 22%

L’Agenzia delle Entrate fornisce le prime indicazioni sull’applicazione della nuova aliquota Iva al 22% che scatta da domani.

L’articolo 40, comma 1-ter del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98 (come da ultimo modificato dall’art. 11, comma 1, lett. a) del decreto legge 28 giugno 2013, n. 76) ha disposto l’aumento dell’aliquota Iva ordinaria dal 21 al 22% a decorrere dal 1° ottobre 2013.

Pertanto, gli operatori economici dovranno applicare, già da domani, la nuova aliquota. Come già chiarito in passato, quando entrò in vigore l’aliquota ordinaria del 21%, qualora nella  fase di  prima applicazione  ragioni  di  ordine tecnico  impediscano  di adeguare in modo rapido i software per la fatturazione e i misuratori fiscali, gli operatori potranno regolarizzare le fatture eventualmente emesse e i corrispettivi annotati in modo non corretto effettuando la variazione in aumento (art. 26, primo comma, del DPR n. 633 del 1972). La regolarizzazione non comporterà alcuna sanzione se la maggiore imposta collegata all’aumento dell’aliquota verrà comunque versata nei termini indicati dalla circolare n. 45/E del 12 ottobre 2011, cui si rinvia per gli ulteriori chiarimenti.

In particolare, sarà possibile effettuare il versamento dell’Iva a debito, incrementato degli interessi eventualmente dovuti, senza applicazione delle sanzioni entro i seguenti termini:

LIQUIDAZIONEPERIODICA

PERIODO DI FATTURAZIONE

TERMINE VERSAMENTO

mensile

ottobre e novembre

Versamento acconto Iva (27 dicembre)

dicembre

Termine liquidazione   annuale (16 marzo)

trimestrale

quarto trimestre

Termine liquidazione   annuale (16 marzo)

Entro i termini indicati dovranno quindi essere regolarizzate, ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633, le fatture erroneamente emesse con la minor aliquota del 21%.

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Italia

Evasione fiscale e dintorni: sempre penalmente punibile?

Il binomio evasione fiscale uguale reato penale comincia ad incrinarsi.

Le ipotesi di reato tributario già numerose si arricchiscono quotidianamente di nuove figure.

Orientarsi in questo labirinto è quasi impossibile ed il contribuente è portato a chiedersi quale comportamento non sia reato.

E’ piu’ semplice e si tratta di situazioni residuali.

Stabilito questo è di grande attualità verificare se l’evasione fiscale sia sempre reato o, in alternativa, se il reato di evasione fiscale sia sempre punibile.

Non ci avventuriamo nell’esame delle teorie penalistiche, a noi interessano i risultati pratici.

Accanto ad una Cassazione appiattita, troppo di sovente, nella difesa ad oltranza degli interessi dell’Amministrazione finanziaria troviamo alcuni Tribunali che affrontano il problema della punibilità dell’evasione fiscale.

Per il Tribunale di Milano è esclusa la sussistenza del reato di evasione fiscale quando il mancato pagamento delle imposte deriva dai mancati pagamenti dei debitori dell’impresa che per tale fatto si trova in crisi.

Il Tribunale di Firenze assolve un imprenditore che non aveva versato l’IVA perché il suo principale cliente non lo aveva pagato, ed il credito vantato era di gran lunga superiore al debito verso l’Erario.

Il Giudice di Padova assolve l’imprenditrice che non ha esitato a pagare i propri dipendenti piuttosto che l’Erario.

il giudice del Tribunale di Este ha assolto, perché il fatto non costituisce reato il titolare di una piccola impresa di autotrasporto, poi dichiarata fallita, per mancanza dell’elemento psicologico del reato e la volontà di commetterlo.

Per la Cassazione non punibile per il reato di omesso versamento IVA chi, al momento dello spirare del termine per il pagamento dell’imposta, non ricopriva più la carica di amministratore della società, poi fallita.

In conclusione, nell’attuale situazione di crisi economica e finanziaria delle imprese, è tempo di affrontare in modo concludente il dibattito sulla punibilità di chi ha commesso il fatto per causa di forza maggiore.

Il GIP di Milano si è espresso per l’assoluzione dell’imputato in quanto è stato costretto a non pagare da un comportamento omissivo e dilatorio da parte di enti pubblici che avrebbero dovuto pagare.

Di particolare interesse perché molte aziende italiane sono ridotte in rovina dai mancati pagamenti dello stato e delle amministrazioni pubbliche.

Colui che ha un debito di regola paga i suoi creditori, lo Stato italiano emette un decreto per consentire alle Amministrazioni pubbliche di pagare, pagare si, ma col contagocce e quando avverrà il pagamento non si sa.

Le aziende falliscono e gli amministratori spesso sono processati per reati tributari direttamente connessi e discendenti dall’omissione delle pubbliche autorità.

Tutte le Sentenze esaminate fanno un distinguo fra chi froda volontariamente il fisco e chi diviene evasore per fatto e colpa di terzi, il che significa che nei comportamenti di quest’ultimo non si riscontra dolo alcuno.

La tendenza dei Giudici di merito rappresenta un severo richiamo al dovere di responsabilità dello Stato che con una legislazione volutamente ed irragionevolmente punitiva ci consegna una Cassazione che condanna a due mesi di reclusione un imprenditore che aveva evaso 21 euro. Quattro giorni di reclusione per ogni euro evaso: ottimo rapporto tra delitto e pena.

Infine ricordiamo per noi stessi il rapporto di casualità: Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

Il dibattito è aperto.

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Italia

Come chiedere un rimborso in modo semplice e immediato

L’Agenzia delle Entrate è al passo con i tempi.
Un filmato pubblicato su YouTube chiarisce tutti i dubbi sui rimborsi.
Nel comunicato stampa si precisa che le indicazioni fornite sono chiare e dirette.
Non possiamo che felicitare L’Agenzia delle Entrate: bravi, anzi bravissimi.

C’è un però!

Queste rassicuranti informazioni varranno per il futuro: ovvio.
Pubblico un estratto dell’accordo firmato il 25 settembre 2013 presso Equitalia Nord di Imperia.
Di ottenere il rimborso delle maggiori imposte risultanti dalla mia dichiarazione dei redditi dell’anno 1992, non è un errore, parliamo proprio dell’anno 1992, finire dell’altro secolo; non se ne parlava.

A titolo di cronaca il rimborso originario era ancora il lire: 33.533.000.
A quei tempi con quella cifra comperavo un piccolo bilocale con garage; con l’importo compensato oggi non compero neppure un’auto di media qualità.

Ritorniamo a bomba.
Per ottenere il rimborso sono stato costretto a rendermi debitore di imposte varie e nullatenente.
In meno di quattro anni Equitalia ed Agenzia delle Entrate sono riusciti a portare a buon fine la pratica di compensazione fra debiti e crediti d’imposta.

Il mio debito effettivo dovrebbe essere inferiore al credito e quindi, nonostante tutta la mia buona volontà, sarò ancora creditore.Per incassare o compensare ci vorrà un’altra ventina d’anni?
Vedremo: per me è essenziale che mi mantenga in buona salute ed accresca al massimo la mia residua speranza di vita.

Guido Ascheri

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Italia

Abuso di legge, abuso di potere e veline : come ti sistemo il cittadino. Ovvero delle Società di comodo o in perdita sistematica.

Percorriamo rapidamente il tortuoso percorso delle società di comodo dalla loro nascita ad oggi.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento è il caso di sottolineare la natura diffamatoria della terminologia utilizzata. Definire una società “di comodo” nella lingua italiana sottintende uno scopo illecito od illegale o almeno moralmente compromissorio.

Per una volta rispolveriamo la nostra buona e vecchia Costituzione, che pare sia finita in soffitta od in cantina: comunemente dimenticata e trascurata.

Secondo la nostra Costituzione le leggi che istituiscono e regolano i tributi devono rispettare il principio di capacità contributiva secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Ci interessano due dei requisiti che caratterizzano il principio di capacità contributiva, e precisamente:

1 ) l’attualità, perché il tributo, nel momento in cui trova applicazione,deve essere correlato ad una capacità contributiva attuale, non ad una capacità contributiva passata o futura.

È ) l’effettività, perché il tributo sorge dall’esigenza che il presupposto d’imposta sia effettivo e non apparente o fittizio.

Gli Uffici finanziari ci dicono, tra l’altro, che una società è di comodo quando e perché è costituita a scopo di elusione fiscale oppure per consentire ad un imprenditore, anch’esso occulto, di non apparire direttamente nei documenti ufficiali.

Sacrosante dichiarazioni di principio ma avulse dalla realtà. Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, dico bene dimostrare, che una o piu’ società sono state costituite a scopo di elusione fiscale. Non esistono società che per natura od oggetto sociale siano destinate all’elusione fiscale.

Nel diritto societario italiano non esistono tipi di società che consentano ai soci, imprenditori o no, di mantenere l’anonimato. Se questa disdicevole condizione viene raggiunta da alcuni utilizzando legalmente e lecitamente società estere gli strali dell’Amministrazione Fiscale non devono essere diretti verso i cittadini italiani bensì contro quei paesi, anche europei e purtroppo civili e con un carico fiscale nettamente inferiore rispetto a quello italiano, che consentono simili riprovevoli pratiche.

In conclusione le società di comodo sono quelle società che il legislatore presume, notiamo bene presume, non siano operative e risultino, notiamo anche la dizione risultino, costituite solo a scopi elusivi.

Tralasciamo per carenza di riscontri oggettivi le società costituite a scopi elusivi.

Le altre società di comodo sono quelle definite come “società in perdita sistematica” e che, secondo l’Amministrazione Finanziaria, si possono idealmente ripartire in due categorie: le società non operative e le società in perdita sistematica.

Vediamo, a titolo di esempio, un paio di comportamenti riprovevoli.

Tizio costituisce una società nella quale confluiscono i suoi beni immobili che ,per ora, son utilizzati di soli soci e quindi nessun ricavo per la società. Società di comodo, non direi, società costituita a scopi di elusione non direi, tutto è trasparente. Tizio ha preferito intestare i suoi immobili ad una società per evitare eventuali, future ed ancorché incerte azioni dirette sul suo patrimonio. Come dire: se Equitalia vuol attaccarmi deve passare per un’azione sulle quote della società e dovrà adeguarsi alle limitazioni ed agli obblighi procedurali.

Caio intende studiare nuove tecniche industriali di produzione, crea una società, i tempi dello studio e della sperimentazione sono lunghi e superano i fatidici tre anni. Stesse domande e stesse risposte. Società di comodo, non direi, società costituita a scopi di elusione non direi, tutto è trasparente. E’ vero che sono previste cause di esclusione, cause di disapplicazione automatica, possibilità di interpello e di ricorso contro il mancato accoglimento dell’interpello.

Alle società di comodo viene obbligatoriamente attribuito un presunto reddito minimo. L’individuazione delle società di comodo avviene attraverso un test di confronto tra i ricavi dichiarati e i ricavi presunti che la società si stima dovrebbe generare in base ai valori iscritti all’attivo di bilancio ( test di operatività ).

Il passo successivo è la determinazione del reddito minimo da attribuire alla società di comodo ed avviene in maniera matematica attraverso un calcolo che si effettua applicando talune percentuali prefissate al valore delle attività patrimoniali dell’anno in corso .

Sono inoltre previste forti limitazioni alla gestione dell’eventuale credito IVA ed al riporto dello stesso.

Si presume quali siano le società di comodo, si presumono gli elementi del test di confronto costi -ricavi , questi ultimi sono anch’essi presunti. Bei tempi quando la Cassazione insegnava che non si possono ricavare presunzioni da presunzioni: un’altra epoca, il cittadino non era ancora schiavo fiscale.

Dulcis in fundo, si fa per dire in fundo e si fa per dire dulcis, sul reddito immaginario, il nostro contribuente paga le imposte con una maggiorazione del 10,50 per cento: nessun commento.

Fine dell’avventura.

In decenni di fallimenti l’Amministrazione fiscale è passata attraverso ‘evasione fiscale, la frode fiscale, l’erosione della base imponibile, l’elusione e buon ultimo l’abuso di diritto.

La figura dell’abuso di diritto non è previsto da alcuna legge, è stato introdotto dalla Cassazione, che ormai legifera con buona pace della divisione dei poteri dello Stato.

La Cassazione afferma “ il divieto di abuso di diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.”

Se noi, per esercitazione scolastica procediamo a trasfondere questi concetti nella valutazione del comportamento di chi ha messo in essere il pasticcio delle società di comodo possiamo concludere sull’esistenza del reato di abuso di potere.

La Cassazione potrebbe introdurre un nuovo principio: “ l’abuso di potere rappresenta un principio generale repressivo, il quale preclude all’Amministrazione finanziaria il conseguimento di vantaggi di cassa ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un aggravio d’imposta o l’applicazione di nuova imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa del beneficio di cassa.”

In conclusione tutta questa manfrina delle società di comodo non produrrà grandi entrate per le casse nel fisco. Per la stragrande maggioranza di queste società basta emigrare in un altro paese della Comunità Europea. C’è lo scoglio dell’Exit Tax, ma la Corte di Giustizia Europea ci verrà in aiuto ancora una volta.

Si avrà qualche crisi nervosa dei contribuenti psichicamente piu’ deboli che saranno prontamente curati dal Servizio Sanitario Nazionale; aggravando ulteriormente il proprio deficit.

Per contro sul piano sociale questa iniziativa si rivela un utile strumento di lotta alla disoccupazione, specialmente quella qualificata. Le veline, che nulla hanno a che fare con quelle di striscia la notizia, sono state distribuite e prontamente duplicate.

Corsi, convegni con tanto di crediti formativi, libri, programmi informatici per verificare la possibile appartenenza alle società di comodo: è un mondo che sa adeguarsi e trarre profitto dalle esternazioni dell’Amministrazione Finanziaria.

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Austria: è possibile la convivenza tra crescita economica e debito

L’organizzazione promuove la strategia di interventi del governo ed esorta a fare di più su banche e spesa pubblica

L’OCSE esprime un giudizio positivo sulla strategia di consolidamento fiscale dell’Austria.
Il Paese riesce a conciliare l’esigenza della crescita economica  con quella della sostenibilità del debito.<

 Il Governo di Vienna è riuscito a garantire alti livelli di occupazione e di qualità della vita nonostante la crisi economica internazionale.
L’OCSE suggerisce all’Austria  di migliorare la protezione del proprio sistema bancario e contenere la spesa pubblica.

Le novità sotto il profilo fiscale

Sul fronte fiscale, i principali cambiamenti riguardano la tassazione dei capital gain sulle proprietà immobiliari, l’eliminazione delle cosiddette scappatoie fiscali in materia di Iva, l’aumento delle tasse sui redditi più alti e la firma di un accordo con la Svizzera sul rimpatrio dei capitali. Le stime delle entrate tributarie, però sono molto incerte. Il bilancio statale prevede dal 2014 entrate erariali per 500 milioni di euro all’anno derivanti dall’introduzione della tassa sulle transazioni finanziare, che, però, non è ancora operativa. Incertezza sulle entrate derivanti dall’accordo con la Svizzera sul rimpatrio dei capitali.

Pil, distribuzione reddito, ambiente e livello di vita

La crescita del Pil pro capite è sempre più elevata, equa la distribuzione del reddito, alti livelli di sostenibilità ambientale e di aspettative di vita. Queste le caratteristiche positive del modello austriaco.
Nel 2006 il governo di Vienna ha adottato un programma di consolidamento fiscale con l’obiettivo di ottenere l’equilibrio di bilancio. Nel 2012 è stato attuato un progetto di tagli alla spesa pubblica.

Banche, ambiente, innovazione tecnologica delle Pmi

Il Governo austriaco è stato invitato ad intervenire in alcuni settori, e precisamente: sistema bancario, sostenibilità ambientale, l’istruzione e il sostegno all’innovazione tecnologica delle Pmi.
E’ noto che il tessuto imprenditoriale austriaco è costituito da migliaia di piccole e medie imprese a conduzione familiare, chiamate ad afrontare le sfide derivanti dall’internazionalizzazione  dei  mercati.

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Confermato il regime speciale IVA per i pacchetti turistici

La Corte di Giustizia ha riconosciuto che il regime speciale delle agenzie di viaggio si applica anche ai pacchetti turistici venduti a persone diverse dai viaggiatori, confermando così la legittimità della normativa italiana.

La questione si è posta perché i viaggi “tutto compreso” sono venduti ad altre agenzie di viaggio o ad altri soggetti IVA che li utilizzano come incentivo per il proprio personale o nell’ambito della propria attività, per esempio per convegni.

Il regime speciale persegue una duplice finalità, da un lato è diretto a semplificare il meccanismo applicativo dell’IVA per le agenzie di viaggio, evitando alle stesse di chiedere il rimborso dell’imposta pagata in altri Paesi dell’Unione Europea e, dall’altro, a garantire la tassazione dei servizi di viaggio nel luogo di effettivo consumo.

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Frodi e corruzione: dalla Unione Europea un nuovo regolamento

Parlamento europeo e Consiglio hanno deciso di adottare un nuovo regolamento per disciplinare l’attività dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF).
Con il nuovo regolamento i due organismi dell’Unione europea hanno voluto implementare le procedure per lo svolgimento di indagini volte al contrasto alle attività di frode contro gli interessi finanziari comunitari.

Il regolamento è composto da articoli che stabiliscono obiettivi e compiti quali il potenziamento della lotta contro le frodi e la corruzione oltre a qualsiasi attività illecita lesiva di interessi finanziari.

Oltre a specificare cosa debba intendersi per interessi finanziari, irregolarità, frodi, indagine amministrativa, persona interessata, operatore economico e accordi amministrativi tratta delle modalità da seguire per lo svolgimento di indagini rispettivamente interne ed esterne. Laddove per la prima tipologia si intendono quelle attività di ricerca di comportamenti fraudolenti nei Paesi terzi o presso le organizzazioni internazionali, nella seconda fattispecie rientrano esclusivamente le indagini amministrative all’interno delle stesse istituzioni, di organi o di organismi. Altra importante disposizione è quella con cui viene data facoltà al direttore generale di avviare una indagine in presenza di un sufficiente sospetto. Sospetto che può consistere anche soltanto in informazioni da terzi o anonime che facciano supporre l’esistenza di frodi o attività illecite.

Garanzie procedurali sono volte a garantire non soltanto le parti coinvolte nell’indagine (ufficio, funzionari, testimoni ecc.) ma anche a tutelare la riservatezza dei dati e delle informazioni.
Altre figure di rilievo nello svolgimento delle indagini sono il comitato di vigilanza ed il direttore generale. Quest’ultimo, è colui preposto alla direzione dell’ufficio da cui dipende lo svolgimento delle indagini e l’attività dei scambio di informazioni con gli organi dell’Unione europea. Il comitato di vigilanza, infine, ha il compito di controllare la regolare esecuzione della funzione di indagine al fine di rafforzare il carattere di indipendenza dell’Ufficio europeo antifrode.

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L’Italia e Isola di Man hanno firmato l’accordo sullo scambio di informazioni

L’Italia e l’Isola di Man hanno sottoscritto a Londra, n data 16 settembre 2013, un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, basato sul Modello di “Tax Information Exchange Agreement” (TIEA) dell’OCSE del 2002.

Tale Modello ha lo scopo di promuovere la cooperazione in materia fiscale, agevolando lo scambio di informazioni tra le autorità competenti degli Stati contraenti.
Il TIEA, non ha carattere vincolante, rappresenta un modello per la conclusione di accordi bilaterali sullo scambio di informazioni in materia fiscale, nei casi in cui non sono in vigore Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Lo stesso giorno l’Isola di Man ha stipulato accordo analogo con il Lesotho.
Il Ministro del Tesoro dell’Isola di Man ricorda che ad oggi l’Isola di Man ha stipulato 41 accordi basati sugli standard OCSE, di cui 31 TIEA.
Con l’Italia salgono a diciassette i Paesi membri dell’Unione europea con i quali l’Isola di Man ha concluso un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale sulla base degli standard OCSE.

Le autorità competenti dei due Stati hanno la facoltà di avviare lo scambio delle informazioni rilevanti per assicurare la corretta applicazione delle disposizioni nazionali relative a ogni imposta rientrante nell’ambito di applicazione del TIEA: le parti contraenti sono tenute a fornire tutte le informazioni prevedibilmente rilevanti per l’Amministrazione fiscale richiedente, incluse quelle informazioni relative alla determinazione, alla verifica e al recupero delle imposte riferite alla persona sottoposta a indagine/controllo da parte dell’Autorità fiscale.
Tuttavia, l’autorità richiesta non è tenuta a fornire le informazioni non richieste dalla normativa fiscale nazionale.

E’ previsto l’obbligo dello Stato richiesto di utilizzare i poteri di cui dispone per raccogliere le informazioni  che gli sono richieste, anche qualora le stesse non siano rilevanti per i suoi propri fini fiscali interni.
E’ esteso l’obbligo dello scambio di informazioni anche a quelle detenute da una banca o da altra istituzione finanziaria, nonché da soggetto che opera in qualità di agente o fiduciario.

Sono individuati i casi in cui lo Stato richiesto può legittimamente rifiutarsi di fornire le informazioni allo Stato richiedente, facendo riferimento ai casi in cui la richiesta non sia effettuata in conformità con le disposizioni del TIEA, o la divulgazione delle informazioni richieste sia contraria all’ordine pubblico o possa rivelare un segreto commerciale, industriale o professionale.
Un’ulteriore ipotesi di “legittimo rifiuto” fa riferimento al caso in cui le informazioni richieste riguardino una disposizione fiscale dello Stato richiedente che discrimina tra un cittadino dello Stato richiesto e un cittadino dello Stato richiedente, in presenza delle medesime circostanze.

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La Svizzera attira gli imprenditori francesi

Dall’inizio dell’anno un centinaio di aziende francesi ha deciso di trasferirsi in Svizzera, l’obiettivo dichiarato è quello di trarre profitto da una tassazione favorevole.

Il Direttore della Camera di Commercio e Industria franco-svizzero ha recentemente reso nota che ora ci sono 850 imprese francesi impiantate nella Confederazione in cui il 25 per cento o più del capitale è di proprietà di una casa madre Francese. Questo dato si contrappone a 750 nel 2011 e a 550 dieci anni fa.

Peri nuovi insediamenti non si tratta semplicemente grandi aziende ma anche piccole e medie imprese, che comincino come filiali commerciali di una società francese .

Inoltre, un numero crescente di imprese francesi invia i dirigenti a lavorare in Svizzera, beneficiando di oneri significativamente inferiori sui salari. Su stipendi mensili di oltre CHF10, 000 gli oneri sociali rappresentano il 32 per cento in Svizzera, contro il 65 per cento in Francia.

Inoltre, i compensi dei  dirigenti francesi non saranno soggetti al contributo eccezionale imposto dalla Francia ai percettori di reddito elevati. L’imposta speciale è attualmente riscossa ad un tasso del 3 per cento sui redditi superiori a 250, 000 e il 4 per cento sui redditi superiori a 500 000 euro.

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Europa: IVA non prevista l’applicazione del prorata mondiale

Una società la cui sede è stabilita in uno Stato membro non può prendere in considerazione, nel calcolare il proprio prorata di detrazione dell’IVA, il fatturato delle sue succursali stabilite all’estero
La sesta direttiva IVA non prevede applicazione del «prorata mondiale»
In seguito a una verifica della sua contabilità, l’istituto di credito Le Crédit Lyonnais (LCL), la cui sede è stabilita in Francia e che detiene succursali all’estero, è stato oggetto di due notifiche di rettifica. L’amministrazione tributaria francese gli ha infatti inviato solleciti relativi, in particolare, all’IVA per il periodo compreso tra il 1° gennaio 1988 e il 31 dicembre 1989, lamentando che esso aveva preso in considerazione l’importo degli interessi dei prestiti accordati alle sue succursali stabilite fuori del territorio francese al fine di calcolare il prorata di detrazione dell’IVA applicabile alla banca.

 LCL ha proposto tre reclami in cui faceva valere la contestazione e la restituzione dell’IVA che la banca ritiene di aver pagato a torto per gli anni dal 1988 al 1990 (circa EUR 31,7 milioni). In seguito al rigetto di tali reclami da parte dell’amministrazione tributaria, LCL ha adito i giustizia amministrativa francese, sostenendo che qualora non si potesse tenere conto dell’importo degli interessi fatturati dalla sede principale alle succursali, in quanto la sede principale formerebbe, unitamente alle succursali estere, un’unica entità, i proventi delle operazioni che queste ultime realizzano con terzi dovrebbero essere considerati come ad essa facenti capo ed essere presi in considerazione per il calcolo del prorata di detrazione ad essa applicato («prorata mondiale»).

 A seguito del rigetto del suo ricorso nonché dell’impugnazione, LCL ha adito in cassazione il Conseil d’État (Francia) che ha deciso di interrogare la Corte di giustizia sull’interpretazione della sesta direttiva IVA . Si tratta di stabilire se la società la cui sede è stabilita in uno Stato membro e che dispone di succursali site all’estero, al momento di assolvere i suoi obblighi tributari nei confronti dello Stato membro in cui ha sede – nella misura in cui realizza sia operazioni che danno diritto alla detrazione sia operazioni che non vi danno diritto – debba prendere in considerazione o meno, per calcolare il suo prorata di detrazione dell’IVA, il proprio fatturato totale, cioè integrare sia quello della sede centrale sia quello delle sue diverse succursali.

 Con la sentenza odierna, la Corte ricorda, in primo luogo, che il regime delle detrazioni sancito dalla direttiva è diretto a sgravare integralmente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o assolta nel contesto di tutte le sue attività economiche. Di conseguenza, il sistema comune dell’IVA garantisce una perfetta neutralità quanto all’onere tributario di tutte le attività economiche, qualunque siano i loro scopi o i loro risultati a condizione che tali attività siano soggette all’IVA. In particolare, allorché l’IVA si riferisce a beni o servizi che sono utilizzati dal soggetto d’imposta per effettuare sia operazioni che danno diritto a detrazione sia operazioni che non vi danno diritto, la detrazione è ammessa soltanto per quella quota dell’IVA che è proporzionale all’importo delle prime operazioni tassate. Il diritto a detrazione è calcolato secondo un prorata determinato in conformità alla direttiva . Orbene, dal momento che il

calcolo del prorata di detrazione costituisce un elemento del regime delle detrazioni, le modalità di tale calcolo rientrano nella sfera d’applicazione della normativa nazionale in materia di IVA alla quale un’attività o un’operazione deve essere fiscalmente collegata (principio di territorialità). Spetta pertanto alle autorità tributarie nazionali stabilire il metodo di determinazione del diritto a detrazione autorizzandole a prevedere la fissazione di un prorata distinto per ciascun settore d’attività oppure la detrazione secondo la destinazione  di  tutti  o  parte  dei  beni  e  servizi  ad  un’attività  precisa  o  anche  a  prevedere l’esclusione del diritto a detrazione al ricorrere di talune condizioni.

 La Corte precisa peraltro che la modalità di restituzione dell’IVA (per detrazione o rimborso) è esclusivamente in funzione del luogo di stabilimento del soggetto d’imposta (sede ma anche stabile organizzazione situata negli altri Stati membri). Così, una società che ha fissato la propria sede in uno Stato membro e che dispone di una stabile organizzazione   in un altro Stato membro deve essere considerata, per tale motivo, stabilita in quest’ultimo Stato per le attività ivi compiute e non potrà più chiedere il rimborso dell’IVA. Spetterà a detta stabile organizzazione sollecitare, presso le autorità tributarie di tale Stato, la detrazione dell’IVA relativa agli acquisti che ivi sono stati realizzati.

 Nei limiti in cui la Corte ha dichiarato che la stabile organizzazione  situata in uno Stato membro e la sede principale situato in un altro Stato membro costituiscono un unico e solo soggetto d’IVA, ne consegue che un unico soggetto passivo è sottoposto, oltre al regime applicabile nello Stato in cui ha sede, ad altrettanti regimi di detrazione nazionali quanti sono gli Stati membri nei quali egli dispone di stabili organizzazioni.

 Orbene, poiché le modalità del calcolo del prorata costituiscono un elemento fondamentale del regime delle detrazioni, non si può tenere conto, nel calcolo applicabile alla sede principale di un soggetto d’imposta stabilito in uno Stato membro, della cifra d’affari realizzata da tutti gli stabili organizzazioni di cui tale soggetto d’imposta dispone negli altri Stati membri.

 Del pari, la Corte risponde, in secondo luogo, che la direttiva deve essere interpretata nel senso che, ai fini della determinazione del prorata di detrazione dell’IVA ad essa applicabile, una società la cui sede è situata in uno Stato membro non può prendere in considerazione il fatturato realizzato dalle sue succursali stabilite nei paesi terzi.

 È giocoforza constatare che la direttiva non contiene alcun indizio che consenta di concludere che la circostanza che un soggetto d’imposta disponga di una stabile organizzazione fuori dell’Unione europea sia idonea ad avere un’incidenza sul regime delle detrazioni alle quali tale soggetto d’imposta è sottoposto nello Stato membro in cui è situata la sua sede principale. La Corte confuta così l’argomento di LCL secondo cui una società che dispone di una succursale in un paese terzo deve, sotto il profilo dell’IVA, beneficiare dello stesso trattamento di una società che dispone di una controllata in tale Stato. Al contrario, secondo la Corte, tali diverse opzioni riflettono situazioni chiaramente distinte e non possono quindi ricevere lo stesso trattamento tributario.

 La Corte constata, in terzo luogo, che la direttiva non consente ad uno Stato membro di accogliere una regola di calcolo del prorata di detrazione per settore d’attività di una società soggetta ad imposta che autorizzi quest’ultima a prendere in considerazione la cifra d’affari realizzata da una succursale stabilita in un altro Stato membro o in un paese terzo.

 Infatti, la nozione di «settori d’attività» non riguarda zone geografiche, ma diversi generi d’attività economiche come le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi.

( Fonte : Curia)

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