Dalle giurisdizioni|Newscast

Conti bancari di base per tutti in Europa

parlamento europeoIl Parlamento europeo approva il testo che sancisce al diritto di avere un conto corrente, senza limiti e improntato alla trasparenza delle informazioni.

Il Parlamento europeo ha approvato con 603 voti favorevoli, 21 contrari e 51 astensioni una norma per cui chiunque risieda legalmente nell’Ue avrà diritto di aprire un conto bancario di base e a nessuno potrà essere negato tale diritto sulla base della nazionalità o del luogo di residenza.
La normativa punta a garantire che le spese e le regole per tutti i conti bancari siano trasparenti e comparabili e rendere più facile passare da un conto corrente a un altro che offre condizioni migliori.
Per entrare in vigore le nuove norme devono essere ufficialmente approvate dagli Stati membri, che avranno poi 24 mesi per recepirle nella legislazione nazionale.

Facile accesso
Il Parlamento europeo ha chiesto che i conti bancari di base siano offerti da tutti, o da un numero di istituti di credito in tutti gli Stati Ue tale da garantire sia un facile accesso per tutti, sia la competitività delle offerte.
Tali offerte non dovranno essere limitate alle banche che forniscono esclusivamente servizi online.

Chiunque risieda legalmente nell’Ue, anche senza fissa dimora, potrà aprire un conto di base.
Tuttavia gli Stati membri potrebbero richiedere ai futuri clienti di indicare il loro interesse e la finalità dell’apertura del conto, a condizione che rispettino pienamente i diritti fondamentali del cliente e che l’esercizio di tale diritto non risulti eccessivamente complicato o gravoso per il consumatore.

Indicazioni chiare disponibili su Web
La legge garantisce che chiunque apra un conto bancario sia in grado di capirne le commissioni e tassi d’interesse e di confrontare le offerte.
In ogni Stato membro dovrà essere creato almeno un sito web indipendente che permetta di confrontare i tassi d’interesse e le tariffe applicate dalle banche, che dovranno inoltre informare i propri clienti sulla possibilità di aprire conti bancari di base.

Quali operazioni
Secondo il testo approvato i conti bancari di base consentono ai clienti di effettuare pagamenti o prelievi ed eseguire operazioni di pagamento all’interno dell’Ue, comprese le operazioni mediante carte di pagamento e online.
Ai clienti deve essere consentito un numero illimitato di tali operazioni, a costo zero o addebitando una cifra ragionevole.
Gli Stati membri possono decidere che tali conti non possano prevedere uno scoperto oppure limitarne l’ammontare.

La migliore offerta
Per beneficiare delle migliori offerte in Europa, ai clienti dovrà essere possibile, per una cifra ragionevole, cambiare conto bancario.
Il passaggio da un conto a un altro, nella stessa valuta e nello stesso paese, sarà effettuato dalla banca che riceve la richiesta di apertura di conto, previa autorizzazione del titolare del conto.
Tutti i bonifici in entrata, gli ordini permanenti e gli addebiti diretti da trasferire sul nuovo conto, dovranno essere identificati.

Passaggio veloce
Entro due giorni lavorativi dal ricevimento dell’autorizzazione, la banca ricevente dovrà chiedere al prestatore di servizi di pagamento trasferente di eseguire le operazioni autorizzate.
Le banche saranno tenute a rimborsare ogni perdita finanziaria derivante direttamente da difetti nel processo di cambiamento del conto.

 

Fonte: europarlamento24 […]

Dalle giurisdizioni|Regno Unito

Il Patent box: imposte al 10% su diritti d’autore e royalties

patent boxIl Patent Box permette alle societa’ di applicare un’aliquota ridotta di imposta sulle società per quegli utili conseguiti dopo il 1 aprile 2013 dallo sfruttamento delle proprie invenzioni brevettate e da alcune altre innovazioni. Lo sgravio e’ stato introdotto a partire dal 1 ° aprile 2013 e l’aliquota ridotta d’imposta sulle societa’ applicata e’ del 10%.

E’ bene chiarire chi può richiedere di beneficiare del Patent Box, quali sono i brevetti idonei, e come e quando fare la richiesta:

–          Chi puo’ beneficiare del Patent Box?

–          Quali sono i brevetti idonei e cosa dev’essere fatto con questi?

–          Licenza esclusiva di brevetto

–          Reddito derivante dallo sfruttamento delle invenzioni brevettate

–          Come e quando proporre la domanda

–          Risposte a domande frequenti sul Patent Box

Chi puo’ beneficiare del Patent Box?

È possibile beneficiare del Patent Box solamente se la societa’ è soggetta all’imposta sulle società e ricava un profitto dallo sfruttamento di invenzioni brevettate.

La societa’ deve essere titolare di un brevetto o avere una licenza esclusiva di brevetto e deve aver intrapreso con riguardo a quest’ultimo il cosiddetto “qualifying development”. In questo articolo verranno fornite ulteriori informazioni riguardo le licenze esclusive di brevetto.

Se la societa’ fa parte di un gruppo, questa potrebbe essere ammessa a beneficiarne se un’altra società del gruppo ha intrapreso tale “sviluppo di qualificazione”.

Quali sono i brevetti idonei e cosa dev’essere fatto con questi?

È possibile beneficiare del Patent Box se la societa’ e’ titolare di brevetti (o possiede una licenza esclusiva di brevetto) concessi da:

–          Ufficio della proprieta’ intellettuale del Regno Unito

–          Ufficio europeo dei brevetti

–          I Paesi di seguito elencati che fanno parte dello Spazio Economico Europeo: Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Ungheria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e  Svezia.

Ricordiamo che la societa’ o un’altra società del gruppo deve aver intrapreso il “qualifying development” per il brevetto, apportando un contributo significativo con riferimento a:

• creazione o sviluppo dell’invenzione brevettata o

• prodotto che incorpori l’invenzione brevettata

Ci si riferisce unicamente ai brevetti, ma la societa’ potrebbe beneficiare del Patent Box anche nel caso in cui detenga determinati diritti di innovazione in ambito medicinale o botanico.

Gruppi di societa’

Se la societa’ fa parte di un gruppo, questa deve essere titolare dell’invenzione brevettata, assumendo un ruolo significativo nella gestione di tutto il suo portafoglio di brevetti ammissibili.

Cio’ non significa che la societa’ debba necessariamente prendere tutte le decisioni riguardanti tale portafoglio di brevetti, ma deve assumerne buona parte della gestione.

 

Licenza esclusiva di brevetto

I titolari di brevetto in certi casi decidono di concedere in licenza le proprie invenzioni ad altri affinche’ questi le sviluppino. Se la società detiene una licenza per utilizzare la tecnologia altrui, può anch’essa beneficiare del Patent Box anche se, per farlo, devono essere soddisfatte tutte le condizioni indicate in appresso.

La societa’ deve possedere:

• il diritto di sviluppare, sfruttare e tutelare i diritti dell’invenzione brevettata

• il diritto di escludere tutte le altre persone (tra cui il concedente la licenza)

• l’esclusiva all’interno di almeno un intero territorio nazionale – il diritto di produrre o vendere all’interno di una specifica zona di un Paese non e’ qualificabile come diritto esclusivo.

Il licenziatario (ovvero il titolare della licenza) deve o essere in grado di avviare delle procedure di infrazione per difendere i propri diritti o avere diritto alla maggior parte dei risarcimenti che gli vengono riconosciuti nei procedimenti promossi (e vinti) per tutelare i suoi diritti.

Le condizioni di licenza esclusiva sono meno rigide per i gruppi di societa’. Cio’ significa che una società del gruppo può possedere un portafoglio di brevetti mentre un’altra societa’ li sfrutta.

Reddito derivante dallo sfruttamento delle invenzioni brevettate

Molto spesso non tutti i profitti della societa’ provengono dallo sfruttamento delle invenzioni brevettate. Per essere rilevante ai fini del Patent Box, il reddito derivante da proprieta’ intellettuale (“IP income”) deve provenire da almeno una delle seguenti fonti:

• vendita di prodotti brevettati – cioè le vendite del prodotto brevettato o prodotti che incorporano l’invenzione brevettata o parti di ricambio

• cessione dei diritti di brevetto

• vendita dei diritti di brevetto

• importi derivanti dalle azioni risarcitorie per contraffazione

• risarcimento danni, assicurazione o altri indennizzi relativi a diritti di brevetto

La societa’ può beneficiare del Patent Box se si avvale di un processo produttivo che è stato brevettato o fornisce un servizio utilizzando uno strumento brevettato. In questi casi, è necessario calcolare un “notional royalty” .

Come e quando proporre la domanda

E’ necessario proporre una domanda per poter beneficiare dell’aliquota ridotta di imposta sulle società che si applica grazie al Patent Box. È possibile farlo nella dichiarazione dei redditi della societa’ o separatamente per iscritto. Non e’ prevista una formula specifica per questa richiesta, ma e’ necessario che questa venga fatta entro due anni dalla fine del periodo contabile nel quale sono sorti i relativi guadagni e utili.

Tutti i vantaggi di questo nuovo regime sono stati introdotti a partire dal 1 ° aprile 2013. Sarà necessario applicare una percentuale adeguata ai profitti percepiti dalla societa’ tramite lo sfruttamento delle invenzioni brevettate.

Le percentuali applicabili per ciascun esercizio finanziario sono:

• dal 1 aprile 2013 al 31 marzo 2014: 60 %

• dal 1 Aprile 2014 al 31 marzo 2015: 70 %

• dal 1 aprile 2015 al 31 marzo 2016: 80 %

• dal 1 aprile 2016 31 marzo 2017: 90 %

• dal 1 aprile 2017: 100 %

Non vi e’ uno specifico “box” (casella) nella dichiarazione dei redditi della societa’ per poter fare la richiesta. Diversamente, deve essere applicata un’ulteriore detrazione del 10% dai profitti soggetti a Corporation Tax. Il tutto viene calcolato con la seguente formula:

RP × FY% × ((MR – IPR) ÷ MR)

Nella formula:

• RP indica i profitti dell’attivita’ commerciale di una societa’ soggetti al Patent Box

• FY% è la percentuale appropriata per ogni esercizio finanziario

• MR è l’aliquota principale di imposta sulle societa’

• IPR è l’aliquota ridotta del 10%

Questo approccio viene utilizzato per evitare complicazioni se vengono dichiarate delle perdite o altre agevolazioni. Quindi, prima di poter calcolare la detrazione, è necessario calcolare l’importo dei profitti che presentano le caratteristiche utili per il Patent Box.

 

Esempi

Se una società detiene dei profitti soggetti a Corporation Tax pari a £ 1.000 nell’esercizio finanziario a partire dal 1 ° aprile 2015, i quali presentano tutte le caratteristiche necessarie per il Patent Box, e l’aliquota principale d’imposta e’ del 22%, allora invece di arrivare a un onere fiscale di £ 100 calcolando il 10% su £ 1000, il calcolo da fare è il seguente:

calcolo importo
Profitti soggetti all’imposta sulle societa’ £ 1.000
Deduzione del Patent Box=£1000 × 80% ((22 – 10) ÷ 22) £    436
Profitti soggetti all’imposta sulle societa’ £    564
Imposta dovuta = £564 × 22% £    124

Se il periodo contabile della societa’ rientra in più di un esercizio finanziario è necessario ripartire i profitti che la societa’ guadagna dalle sue invenzioni brevettate in quel periodo contabile di ogni esercizio finanziario.

Ad esempio, se una società ha prodotto degli utili soggetti a Corporation Tax pari a £ 1.000 nel corso dell’anno chiusosi al 31 Dicembre 2016, i quali presentano tutti i requisiti per il Patent Box, i profitti verranno ripartiti come segue:

Profitti che ricadono nell’esercizio finanziario 2015 ( dal 1 gennaio 2016 al 31 marzo 2016) 91/366 × £ 1000 = £ 249

Profitti che ricadono nell’esercizio finanziario 2016 ( dal 1 aprile 2016 al 31 dicembre 2016) 275/366 × £ 1000  = £ 751

calcolo importo
Profitti soggetti all’imposta sulle societa’ £ 1.000
Deduzione del Patent Box=(£249 × 80% + £751 x 90%)× ((22 – 10) ÷ 22) £    478
Profitti soggetti all’imposta sulle societa’ £    522
Imposta dovuta = £522 × 22% £    114

All’interno dell’amministrazione fiscale inglese sono state istituite apposite unita’ specializzate che forniscono supporto agli imprenditori.

  […]

Italia

Imprenditore in crisi finanziaria uguale delinquente

Leggo su Eutekne, il quotidiano del commercialista, un intervento del signor Vincenzo Pacileo, Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Torino.

L’argomento trattato è l’omesso versamento di ritenute fiscali o dell’imposta sul  valore aggiunto  da parte dell’imprenditore la cui impresa  ha mancanza di liquidità.

L’autore non esita a modificare i termini delle problematiche al fine di dare un embrione di sostenibilità alle sue tesi colpevolistiche.

Appare di tutta evidenza un’inveterata abitudine che affligge i rappresentanti dell’accusa i quali si sentono investiti della funzione di far condannare il presunto reo.

E’ pur vero, ma a solo livello teorico, che l’accusa dovrebbe valutare sia gli elementi a favore sia quelli a sfavore del reprobo. In realtà ciò non avviene mai.
Ed ecco che assistiamo alla sceneggiata napoletana dell’interpretazione del diritto.

Cominciamo dalla questione che si da per semplice ed incontestabile.

Leggiamo:” Quanto all’omesso versamento di ritenute certificate, non si vede proprio ( per l’autore) come si possa invocare la crisi di liquidità, dal momento che l’imprenditore deve aver operato le ritenute come sostituto d’imposta con il solo fine di versarle allo Stato”

Domanda: che cosa sono le ritenute certificate? E’ una nuova specie di ritenute d’acconto che merita maggior tutela?

Non voglio abbandonarmi al piacere sottile delle contrapposizioni interpretative, preferisco ancorarmi alla realtà. Invece di molte chiacchere, piu’ o meno fondate, piu’ o meno giustificate, mi piace fare ricorso ad un semplice esempio.

L’imprenditore ha ricevuto dal suo consulente la busta paga del suo unico dipendente.

Andiamo per approssimazione e tralasciamo le ritenute sociali e quant’altro.

 Stipendio lordo 1.000, ritenute fiscali 200, netto a pagare 800.

Il nostro imprenditore ha in cassa giusto 800 euro e li versa al lavoratore.

Bene, dice il nostro sostituto procuratore che l’imprenditore è colpevole ed aggiunge che non vede proprio come possa invocare la crisi di liquidità.

Andrebbe anche bene se il nostro imprenditore avesse avuto in cassa 1000 euro, ne avesse dato 800 al dipendente ed avesse speso i 200 per fini diversi e magari personali come comperare da mangiare per i proprio figli.

Quindi l’imprenditore non ha operato la ritenuta d’acconto e la sua situazione è quella di debitore nei confronti del dipendente di una somma pari alla ritenuta che non ha potuto operare.
Debito verso il dipendente che verrà saldato al momento del pagamento da effettuarsi non già al creditore ma all’Amministrazione finanziaria.

Non sono un profondo conoscitore del diritto penale e lascio ad altri la disquisizione sulle cause di forza maggiore, sulla sussistenza o meno del dolo, sulla non punibilità per fatto altrui e via di seguito:

Io direi, molto semplicemente e molto modestamente, che il fatto non sussiste.
La ritenuta non è stata operata: fine dell’avventura.

[…]

Italia

Agenzia delle Entrate: accertamento temerario

Spesometro, redditometro, invito a comparire e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.

L’Agenzia delle Entrate per nascondere la propria incapacità a svolgere le funzioni istituzionali non ha trovato di meglio che attivare una quotidiana azione di intimidazione e persecuzione nei confronti dei contribuenti.

Lotta agli evasori, guerra ai frodatori, sfida ai paradisi fiscali questi i grandi temi.
Nella realtà parole al vento, tanto per ricordare la loro esistenza.

Accordi con comuni e scuole per combattere l’evasione ed insegnare le tecniche della delazione.
Trenta cinquemila accertamenti annunciati a gennaio, forse qualche migliaio a fine anno: dall’annuncio alla realizzazione la caduta è libera.

 E questo per una armata Brancaleone che al 31 dicembre 2012 contava 41.035 persone, 481 dirigenti e 886 facenti funzioni dirigenziali.
Qualunque azienda privata avrebbe dichiarato fallimento da tempo.

Veniamo alle novità: gli inviti a presentarsi per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento avviato nei confronti del contribuente.
Già la formulazione testuale è provocatoria: in pratica mi si chiede di fornire dati e notizie che avvalorino l’operato dell’ufficio, non certo per discutere su un piano di assoluta parità le situazioni patrimoniali e reddituali. L’Ufficio ha già avvito l’accertamento.

Questa è una delle ultime trovate per perseguitare il contribuente che sarà sicuramente messo di fronte al ricatto: accetti un accertamento non eccessivo (?) oppure riceverai l’accertamento definitivo e affronterai tutti i gradi del giudizio, in quanto per l’Agenzia delle Entrate è costume appellare sempre e comunque quando le Commissioni Tributarie accertano l’infondatezza delle pretese dell’Amministrazione Finanziaria.
A questo aggiungi che Equitalia venuta a conoscenza della possibilità che il contribuente sia oggetto di un accertamento inizierà l’attività collaterale di persecuzione: richieste di pagamento, pignoramenti sequestri, blocco di auto e conti correnti.

Andiamo ad un caso pratico e reale.
L’Agenzia delle Entrate premette che il reddito dichiarato risulta alquanto esiguo sei si tiene conto che il contribuente:

–          È titolare dello studio professionale dal 02 gennaio 1993: quasi esatto, il nostro contribuente ha iniziato l’attività professionale il 24 marzo 1973.

–          Collabora con uno studio di Nizza (Francia) specializzato in fiscalità internazionale. Da accurati controlli non è risultato che tale studio professionale esista.

–          È rappresentante legale e domiciliatario di una società estera di diritto britannico (? Sic), segue denominazione della società: quasi esatto, l’accertamento in pectore copre il periodo  2008 – 2012. La società con Sede nel Regno Unito è cessata definitivamente, sciolta e cancellata da Companies House il 21 settembre 2004.

–          Sul suo conto bancario in data 3 ottobre 2008 è stata accreditata la somma di ben 33.345,61 euro, il contribuente è invitato a fornire prova dell’origine di questi fondi. Per il contribuente non sarà particolarmente difficile fornire la prova dell’origine dei fondi: si tratta del rimborso IRPEF per il credito risultante dalla dichiarazione dei redditi presentata allo stesso ufficio che oggi chiede le spiegazioni e che nel 2008 ha disposto il rimborso.

Caso isolato: non credo proprio. Io sono convinto che sia una tecnica di intimidazione e ricatto ben oleata, codificata e sperimentata per spingere il contribuente a subire gli abusi accertativi dell’Agenzia delle Entrate.

Facciamo sfoggio di erudizione ed andiamo a rivisitare Aristotele e Montesquieu che hanno teorizzato la separazione dei poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Questo principio della separazione dei poteri ha trovato la sua realizzazione con la nascita delle moderne democrazie. Rigida separazione dei poteri nelle costituzioni americane, francesi, inglesi e via di seguito.
Con il tempo e l’evoluzione delle democrazie nasce un quarto potere: quello del Capo dello Stato. La divisione dei poteri si affievolisce sempre piu’: aumentano i poteri normativi dei Governi ( Decreto legge, decreto legislativo, eccetera) ed emergono nuovi organi come le autorità amministrative indipendenti.
Ed è il caso dell’Agenzia delle Entrate che da organo amministrativo dipendente del potere esecutivo si trasforma in organo legislativo ed esecutivo allo stesso tempo.

E’ nata la dittatura fiscale.

Sono note le norme che si applicano alla lite temeraria.
Le ricordiamo per noi.

Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.

Questo principio si applica anche al processo tributario.

Il giudice tributario può conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente, potendo, altresì,  liquidare in favore di quest’ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto. (Cassazione Civile, SS.UU., Ordinanza 03.0          6.2013 n° 13899).

Per ottenere il risarcimento da lite temeraria non è necessario fornire la prova concreta del danno subito in quanto è in re ipsa.

Si tratta degli oneri di ogni genere che il contribuente ha dovuto affrontare per contrastare l’ingiustificata iniziativa dell’Amministrazione Finanziaria.
I disagi che il contribuente è costretto a subire per effetto di questa iniziativa possono essere desunti dalla comune esperienza.
Infatti il giudice decide in via equitativa.
Il giudice tributario ha competenza sia sugli accessori del tributo e sulle pretese risarcitorie, che, pur non avendo ad oggetto “accessori” del tributo presentano un diretto ed immediato nesso causale con l’atto tributario impugnato ed uno stretto collegamento con il rapporto tributario che, nella sua interezza, costituisce l’oggetto del giudizio.

In altri termini se ad avvisi di comparizione intimidatori ed ingiustificati segue un procedimento contenzioso nella quantificazione del risarcimento bisogna tenerne conto.

Sul piano  strettamente pratico non dimentichiamo che molte Commissioni Tributarie quando a soccombere è l’Amministrazione Finanziaria sono use compensare le spese; figuriamoci fissare il risarcimento.
In ogni caso è una strada da percorrere.

Guido Ascheri

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Italia

Come chiedere un rimborso in modo semplice e immediato

L’Agenzia delle Entrate è al passo con i tempi.
Un filmato pubblicato su YouTube chiarisce tutti i dubbi sui rimborsi.
Nel comunicato stampa si precisa che le indicazioni fornite sono chiare e dirette.
Non possiamo che felicitare L’Agenzia delle Entrate: bravi, anzi bravissimi.

C’è un però!

Queste rassicuranti informazioni varranno per il futuro: ovvio.
Pubblico un estratto dell’accordo firmato il 25 settembre 2013 presso Equitalia Nord di Imperia.
Di ottenere il rimborso delle maggiori imposte risultanti dalla mia dichiarazione dei redditi dell’anno 1992, non è un errore, parliamo proprio dell’anno 1992, finire dell’altro secolo; non se ne parlava.

A titolo di cronaca il rimborso originario era ancora il lire: 33.533.000.
A quei tempi con quella cifra comperavo un piccolo bilocale con garage; con l’importo compensato oggi non compero neppure un’auto di media qualità.

Ritorniamo a bomba.
Per ottenere il rimborso sono stato costretto a rendermi debitore di imposte varie e nullatenente.
In meno di quattro anni Equitalia ed Agenzia delle Entrate sono riusciti a portare a buon fine la pratica di compensazione fra debiti e crediti d’imposta.

Il mio debito effettivo dovrebbe essere inferiore al credito e quindi, nonostante tutta la mia buona volontà, sarò ancora creditore.Per incassare o compensare ci vorrà un’altra ventina d’anni?
Vedremo: per me è essenziale che mi mantenga in buona salute ed accresca al massimo la mia residua speranza di vita.

Guido Ascheri

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Italia

Evasione fiscale e dintorni: sempre penalmente punibile?

Il binomio evasione fiscale uguale reato penale comincia ad incrinarsi.

Le ipotesi di reato tributario già numerose si arricchiscono quotidianamente di nuove figure.

Orientarsi in questo labirinto è quasi impossibile ed il contribuente è portato a chiedersi quale comportamento non sia reato.

E’ piu’ semplice e si tratta di situazioni residuali.

Stabilito questo è di grande attualità verificare se l’evasione fiscale sia sempre reato o, in alternativa, se il reato di evasione fiscale sia sempre punibile.

Non ci avventuriamo nell’esame delle teorie penalistiche, a noi interessano i risultati pratici.

Accanto ad una Cassazione appiattita, troppo di sovente, nella difesa ad oltranza degli interessi dell’Amministrazione finanziaria troviamo alcuni Tribunali che affrontano il problema della punibilità dell’evasione fiscale.

Per il Tribunale di Milano è esclusa la sussistenza del reato di evasione fiscale quando il mancato pagamento delle imposte deriva dai mancati pagamenti dei debitori dell’impresa che per tale fatto si trova in crisi.

Il Tribunale di Firenze assolve un imprenditore che non aveva versato l’IVA perché il suo principale cliente non lo aveva pagato, ed il credito vantato era di gran lunga superiore al debito verso l’Erario.

Il Giudice di Padova assolve l’imprenditrice che non ha esitato a pagare i propri dipendenti piuttosto che l’Erario.

il giudice del Tribunale di Este ha assolto, perché il fatto non costituisce reato il titolare di una piccola impresa di autotrasporto, poi dichiarata fallita, per mancanza dell’elemento psicologico del reato e la volontà di commetterlo.

Per la Cassazione non punibile per il reato di omesso versamento IVA chi, al momento dello spirare del termine per il pagamento dell’imposta, non ricopriva più la carica di amministratore della società, poi fallita.

In conclusione, nell’attuale situazione di crisi economica e finanziaria delle imprese, è tempo di affrontare in modo concludente il dibattito sulla punibilità di chi ha commesso il fatto per causa di forza maggiore.

Il GIP di Milano si è espresso per l’assoluzione dell’imputato in quanto è stato costretto a non pagare da un comportamento omissivo e dilatorio da parte di enti pubblici che avrebbero dovuto pagare.

Di particolare interesse perché molte aziende italiane sono ridotte in rovina dai mancati pagamenti dello stato e delle amministrazioni pubbliche.

Colui che ha un debito di regola paga i suoi creditori, lo Stato italiano emette un decreto per consentire alle Amministrazioni pubbliche di pagare, pagare si, ma col contagocce e quando avverrà il pagamento non si sa.

Le aziende falliscono e gli amministratori spesso sono processati per reati tributari direttamente connessi e discendenti dall’omissione delle pubbliche autorità.

Tutte le Sentenze esaminate fanno un distinguo fra chi froda volontariamente il fisco e chi diviene evasore per fatto e colpa di terzi, il che significa che nei comportamenti di quest’ultimo non si riscontra dolo alcuno.

La tendenza dei Giudici di merito rappresenta un severo richiamo al dovere di responsabilità dello Stato che con una legislazione volutamente ed irragionevolmente punitiva ci consegna una Cassazione che condanna a due mesi di reclusione un imprenditore che aveva evaso 21 euro. Quattro giorni di reclusione per ogni euro evaso: ottimo rapporto tra delitto e pena.

Infine ricordiamo per noi stessi il rapporto di casualità: Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

Il dibattito è aperto.

[…]

Italia

Abuso di legge, abuso di potere e veline : come ti sistemo il cittadino. Ovvero delle Società di comodo o in perdita sistematica.

Percorriamo rapidamente il tortuoso percorso delle società di comodo dalla loro nascita ad oggi.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento è il caso di sottolineare la natura diffamatoria della terminologia utilizzata. Definire una società “di comodo” nella lingua italiana sottintende uno scopo illecito od illegale o almeno moralmente compromissorio.

Per una volta rispolveriamo la nostra buona e vecchia Costituzione, che pare sia finita in soffitta od in cantina: comunemente dimenticata e trascurata.

Secondo la nostra Costituzione le leggi che istituiscono e regolano i tributi devono rispettare il principio di capacità contributiva secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Ci interessano due dei requisiti che caratterizzano il principio di capacità contributiva, e precisamente:

1 ) l’attualità, perché il tributo, nel momento in cui trova applicazione,deve essere correlato ad una capacità contributiva attuale, non ad una capacità contributiva passata o futura.

È ) l’effettività, perché il tributo sorge dall’esigenza che il presupposto d’imposta sia effettivo e non apparente o fittizio.

Gli Uffici finanziari ci dicono, tra l’altro, che una società è di comodo quando e perché è costituita a scopo di elusione fiscale oppure per consentire ad un imprenditore, anch’esso occulto, di non apparire direttamente nei documenti ufficiali.

Sacrosante dichiarazioni di principio ma avulse dalla realtà. Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, dico bene dimostrare, che una o piu’ società sono state costituite a scopo di elusione fiscale. Non esistono società che per natura od oggetto sociale siano destinate all’elusione fiscale.

Nel diritto societario italiano non esistono tipi di società che consentano ai soci, imprenditori o no, di mantenere l’anonimato. Se questa disdicevole condizione viene raggiunta da alcuni utilizzando legalmente e lecitamente società estere gli strali dell’Amministrazione Fiscale non devono essere diretti verso i cittadini italiani bensì contro quei paesi, anche europei e purtroppo civili e con un carico fiscale nettamente inferiore rispetto a quello italiano, che consentono simili riprovevoli pratiche.

In conclusione le società di comodo sono quelle società che il legislatore presume, notiamo bene presume, non siano operative e risultino, notiamo anche la dizione risultino, costituite solo a scopi elusivi.

Tralasciamo per carenza di riscontri oggettivi le società costituite a scopi elusivi.

Le altre società di comodo sono quelle definite come “società in perdita sistematica” e che, secondo l’Amministrazione Finanziaria, si possono idealmente ripartire in due categorie: le società non operative e le società in perdita sistematica.

Vediamo, a titolo di esempio, un paio di comportamenti riprovevoli.

Tizio costituisce una società nella quale confluiscono i suoi beni immobili che ,per ora, son utilizzati di soli soci e quindi nessun ricavo per la società. Società di comodo, non direi, società costituita a scopi di elusione non direi, tutto è trasparente. Tizio ha preferito intestare i suoi immobili ad una società per evitare eventuali, future ed ancorché incerte azioni dirette sul suo patrimonio. Come dire: se Equitalia vuol attaccarmi deve passare per un’azione sulle quote della società e dovrà adeguarsi alle limitazioni ed agli obblighi procedurali.

Caio intende studiare nuove tecniche industriali di produzione, crea una società, i tempi dello studio e della sperimentazione sono lunghi e superano i fatidici tre anni. Stesse domande e stesse risposte. Società di comodo, non direi, società costituita a scopi di elusione non direi, tutto è trasparente. E’ vero che sono previste cause di esclusione, cause di disapplicazione automatica, possibilità di interpello e di ricorso contro il mancato accoglimento dell’interpello.

Alle società di comodo viene obbligatoriamente attribuito un presunto reddito minimo. L’individuazione delle società di comodo avviene attraverso un test di confronto tra i ricavi dichiarati e i ricavi presunti che la società si stima dovrebbe generare in base ai valori iscritti all’attivo di bilancio ( test di operatività ).

Il passo successivo è la determinazione del reddito minimo da attribuire alla società di comodo ed avviene in maniera matematica attraverso un calcolo che si effettua applicando talune percentuali prefissate al valore delle attività patrimoniali dell’anno in corso .

Sono inoltre previste forti limitazioni alla gestione dell’eventuale credito IVA ed al riporto dello stesso.

Si presume quali siano le società di comodo, si presumono gli elementi del test di confronto costi -ricavi , questi ultimi sono anch’essi presunti. Bei tempi quando la Cassazione insegnava che non si possono ricavare presunzioni da presunzioni: un’altra epoca, il cittadino non era ancora schiavo fiscale.

Dulcis in fundo, si fa per dire in fundo e si fa per dire dulcis, sul reddito immaginario, il nostro contribuente paga le imposte con una maggiorazione del 10,50 per cento: nessun commento.

Fine dell’avventura.

In decenni di fallimenti l’Amministrazione fiscale è passata attraverso ‘evasione fiscale, la frode fiscale, l’erosione della base imponibile, l’elusione e buon ultimo l’abuso di diritto.

La figura dell’abuso di diritto non è previsto da alcuna legge, è stato introdotto dalla Cassazione, che ormai legifera con buona pace della divisione dei poteri dello Stato.

La Cassazione afferma “ il divieto di abuso di diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.”

Se noi, per esercitazione scolastica procediamo a trasfondere questi concetti nella valutazione del comportamento di chi ha messo in essere il pasticcio delle società di comodo possiamo concludere sull’esistenza del reato di abuso di potere.

La Cassazione potrebbe introdurre un nuovo principio: “ l’abuso di potere rappresenta un principio generale repressivo, il quale preclude all’Amministrazione finanziaria il conseguimento di vantaggi di cassa ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un aggravio d’imposta o l’applicazione di nuova imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa del beneficio di cassa.”

In conclusione tutta questa manfrina delle società di comodo non produrrà grandi entrate per le casse nel fisco. Per la stragrande maggioranza di queste società basta emigrare in un altro paese della Comunità Europea. C’è lo scoglio dell’Exit Tax, ma la Corte di Giustizia Europea ci verrà in aiuto ancora una volta.

Si avrà qualche crisi nervosa dei contribuenti psichicamente piu’ deboli che saranno prontamente curati dal Servizio Sanitario Nazionale; aggravando ulteriormente il proprio deficit.

Per contro sul piano sociale questa iniziativa si rivela un utile strumento di lotta alla disoccupazione, specialmente quella qualificata. Le veline, che nulla hanno a che fare con quelle di striscia la notizia, sono state distribuite e prontamente duplicate.

Corsi, convegni con tanto di crediti formativi, libri, programmi informatici per verificare la possibile appartenenza alle società di comodo: è un mondo che sa adeguarsi e trarre profitto dalle esternazioni dell’Amministrazione Finanziaria.

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