Agenzia delle Entrate: accertamento temerario
Spesometro, redditometro, invito a comparire e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.
L’Agenzia delle Entrate per nascondere la propria incapacità a svolgere le funzioni istituzionali non ha trovato di meglio che attivare una quotidiana azione di intimidazione e persecuzione nei confronti dei contribuenti.
Lotta agli evasori, guerra ai frodatori, sfida ai paradisi fiscali questi i grandi temi.
Nella realtà parole al vento, tanto per ricordare la loro esistenza.
Accordi con comuni e scuole per combattere l’evasione ed insegnare le tecniche della delazione.
Trenta cinquemila accertamenti annunciati a gennaio, forse qualche migliaio a fine anno: dall’annuncio alla realizzazione la caduta è libera.
E questo per una armata Brancaleone che al 31 dicembre 2012 contava 41.035 persone, 481 dirigenti e 886 facenti funzioni dirigenziali.
Qualunque azienda privata avrebbe dichiarato fallimento da tempo.
Veniamo alle novità: gli inviti a presentarsi per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento avviato nei confronti del contribuente.
Già la formulazione testuale è provocatoria: in pratica mi si chiede di fornire dati e notizie che avvalorino l’operato dell’ufficio, non certo per discutere su un piano di assoluta parità le situazioni patrimoniali e reddituali. L’Ufficio ha già avvito l’accertamento.
Questa è una delle ultime trovate per perseguitare il contribuente che sarà sicuramente messo di fronte al ricatto: accetti un accertamento non eccessivo (?) oppure riceverai l’accertamento definitivo e affronterai tutti i gradi del giudizio, in quanto per l’Agenzia delle Entrate è costume appellare sempre e comunque quando le Commissioni Tributarie accertano l’infondatezza delle pretese dell’Amministrazione Finanziaria.
A questo aggiungi che Equitalia venuta a conoscenza della possibilità che il contribuente sia oggetto di un accertamento inizierà l’attività collaterale di persecuzione: richieste di pagamento, pignoramenti sequestri, blocco di auto e conti correnti.
Andiamo ad un caso pratico e reale.
L’Agenzia delle Entrate premette che il reddito dichiarato risulta alquanto esiguo sei si tiene conto che il contribuente:
– È titolare dello studio professionale dal 02 gennaio 1993: quasi esatto, il nostro contribuente ha iniziato l’attività professionale il 24 marzo 1973.
– Collabora con uno studio di Nizza (Francia) specializzato in fiscalità internazionale. Da accurati controlli non è risultato che tale studio professionale esista.
– È rappresentante legale e domiciliatario di una società estera di diritto britannico (? Sic), segue denominazione della società: quasi esatto, l’accertamento in pectore copre il periodo 2008 – 2012. La società con Sede nel Regno Unito è cessata definitivamente, sciolta e cancellata da Companies House il 21 settembre 2004.
– Sul suo conto bancario in data 3 ottobre 2008 è stata accreditata la somma di ben 33.345,61 euro, il contribuente è invitato a fornire prova dell’origine di questi fondi. Per il contribuente non sarà particolarmente difficile fornire la prova dell’origine dei fondi: si tratta del rimborso IRPEF per il credito risultante dalla dichiarazione dei redditi presentata allo stesso ufficio che oggi chiede le spiegazioni e che nel 2008 ha disposto il rimborso.
Caso isolato: non credo proprio. Io sono convinto che sia una tecnica di intimidazione e ricatto ben oleata, codificata e sperimentata per spingere il contribuente a subire gli abusi accertativi dell’Agenzia delle Entrate.
Facciamo sfoggio di erudizione ed andiamo a rivisitare Aristotele e Montesquieu che hanno teorizzato la separazione dei poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Questo principio della separazione dei poteri ha trovato la sua realizzazione con la nascita delle moderne democrazie. Rigida separazione dei poteri nelle costituzioni americane, francesi, inglesi e via di seguito.
Con il tempo e l’evoluzione delle democrazie nasce un quarto potere: quello del Capo dello Stato. La divisione dei poteri si affievolisce sempre piu’: aumentano i poteri normativi dei Governi ( Decreto legge, decreto legislativo, eccetera) ed emergono nuovi organi come le autorità amministrative indipendenti.
Ed è il caso dell’Agenzia delle Entrate che da organo amministrativo dipendente del potere esecutivo si trasforma in organo legislativo ed esecutivo allo stesso tempo.
E’ nata la dittatura fiscale.
Sono note le norme che si applicano alla lite temeraria.
Le ricordiamo per noi.
Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.
Questo principio si applica anche al processo tributario.
Il giudice tributario può conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente, potendo, altresì, liquidare in favore di quest’ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto. (Cassazione Civile, SS.UU., Ordinanza 03.0 6.2013 n° 13899).
Per ottenere il risarcimento da lite temeraria non è necessario fornire la prova concreta del danno subito in quanto è in re ipsa.
Si tratta degli oneri di ogni genere che il contribuente ha dovuto affrontare per contrastare l’ingiustificata iniziativa dell’Amministrazione Finanziaria.
I disagi che il contribuente è costretto a subire per effetto di questa iniziativa possono essere desunti dalla comune esperienza.
Infatti il giudice decide in via equitativa.
Il giudice tributario ha competenza sia sugli accessori del tributo e sulle pretese risarcitorie, che, pur non avendo ad oggetto “accessori” del tributo presentano un diretto ed immediato nesso causale con l’atto tributario impugnato ed uno stretto collegamento con il rapporto tributario che, nella sua interezza, costituisce l’oggetto del giudizio.
In altri termini se ad avvisi di comparizione intimidatori ed ingiustificati segue un procedimento contenzioso nella quantificazione del risarcimento bisogna tenerne conto.
Sul piano strettamente pratico non dimentichiamo che molte Commissioni Tributarie quando a soccombere è l’Amministrazione Finanziaria sono use compensare le spese; figuriamoci fissare il risarcimento.
In ogni caso è una strada da percorrere.
Guido Ascheri