Cina: validità della clausola compromissoria

cinaLa possibilità per le istituzioni arbitrali straniere di condurre una procedura arbitrale in Cina è da molti anni al centro di un vivace dibattito; la sentenza con cui nel 2006 la Corte Intermedia del Popolo di Wuxi si era rifiutata di riconoscere ed eseguire un lodo pronunciato dalla International Chamber of Commerce a Shanghai (caso Zublin) ([1]) sembrava l’ennesimo tassello a favore della tesi, assolutamente predominante in Cina, secondo cui alle istituzioni arbitrali straniere era preclusa la possibilità di condurre procedure arbitrali oltre la Grande Muraglia.

Nel caso Zublin il rifiuto della Corte di realizzare la procedura per l’exequatur del lodo reso dalla ICC non dipendeva dall’invalidità di tale decisione bensì dal fatto che il lodo era considerato “non domestic award” e, come tale, non poteva trovare esecuzione in base alla Legge Cinese sull’Arbitrato.

In un altro famoso caso (Duferco S.A. contro Ningbo Art & Craft Imp. & Exp.) la Corte Intermedia del Popolo di Ningbo aveva eseguito il lodo reso dalla ICC riunitasi a Pechino mediante il rinvio alla Convenzione di New York, applicabile in quanto il pronunciamento era stato qualificato “non domestic award”; Duferco aveva severamente criticato la decisione che, a suo dire, rappresentava un pericoloso precedente perché qualificava il lodo come “estero” sul presupposto che la legge cinese non permettesse alle istituzioni arbitrali straniere di svolgere giudizi arbitrali sul territorio cinese.

Tale essendo lo stato dell’arte, è ancor più deflagrante l’effetto provocato dalla pronuncia del 2013 (pubblicata solo nell’aprile 2014) con cui la Corte Suprema del Popolo Cinese, decidendo il caso Longlide Packaging Ltd. contro BP Agnati SRL ([2]) ha riconosciuto la validità della clausola compromissoria che rimetta la soluzione delle controversie ad un’istituzione arbitrale straniera chiamata a decidere in Cina (nello specifico a Shanghai).

In breve i fatti: la ricorrente Longlide Packaging è una società cinese della Provincia di Anhui che nell’ottobre 2010 aveva concluso un contratto di vendita con la società italiana BP Agnati SRL: il contratto di vendita conteneva una clausola compromissoria dal seguente tenore letterale: “any dispute arising from or in connection with this contract shall be submitted to arbitration by the International Chamber of Commerce (ICC) Court of Arbitration according to its arbitration rules, by one or more arbitrators. The place of jurisdiction shall be Shanghai, China. The arbitration shall be conducted in English”.

La ricorrente sosteneva che la citata clausola dovesse considerarsi invalida – secondo la legge cinese – per i seguenti motivi: 1) la ICC non era un’istituzione arbitrale riconosciuta dal China Arbitration Act; 2) la Camera Arbitrale non era autorizzata a decidere a Shanghai perché ciò costituiva una violazione della sovranità cinese; 3) se la decisione della ICC fosse stata riconosciuta valida, si sarebbe dovuta qualificare come un “lodo domestico” (domestic award) e conseguentemente la Convenzione di New York non avrebbe potuto trovare applicane (riferendosi solo al riconoscimento in Cina dei lodi arbitrali stranieri e non di quelli “domestici”).

La Corte Intermedia del Popolo di Hefei, sul presupposto che la questione della validità della clausola compromissoria dovesse essere risolta in base alla legge cinese, aveva concluso che il China Arbitration Act non affrontava la possibilità (o meno) di un’istituzione straniera di svolgere in Cina un arbitrato e nel momento in cui entrambe le parti avevano deciso che l’arbitrato dovesse svolgersi a Shanghai, per ciò stesso la decisione arbitrale doveva essere qualificata come “domestica” (e conseguentemente si escludeva la possibilità di applicare la Convenzione di New York il cui Art. 1 si riferisce in modo espresso ai lodi arbitrali “stranieri”).

In secondo luogo, proseguiva la Corte di Hefei, l’Art. 10 del China Arbitration Act (in base al quale “the establishment of an arbitration commission shall be registered with the administrative authority of justice of the relevant province, autonomous region or municipality directly under the central government”) implica che un’autorità arbitrale straniera avrebbe potuto legittimamente condurre una procedura arbitrale in Cina solo dopo aver ottenuto il permesso da parte della competente agenzia amministrativa della giustizia cinese. In mancanza di tale preventiva autorizzazione, la procedura arbitrale condotta in Cina da un’istituzione straniera si doveva considerare illegittima: per tale motivo, aveva concluso la Corte, la clausola compromissoria contestata dalla società cinese si doveva considerare invalida.

L’Alta Corte della Provincia di Anhui, investita della questione in base al reporting system ([3]), si divise in due: la parte maggioritaria dei giudici, pur confermando che il caso dovesse essere deciso in base alla legge cinese, aveva riformato la decisione della Corte di Hefei City sulla base dell’Art. 16 del China Arbitration Act secondo cui “an arbitration agreement shall contain three elements: 1) an expression of intention to apply for arbitration; 2) subject matters for arbitration; 3) a designated arbitration commission”.

Secondo la maggioranza del collegio giudicante cinese, in base alla citata norma, la clausola compromissoria contenuta nel contratto dimostrava la volontà delle parti sia di rimettere ad un collegio arbitrale la risoluzione delle eventuali controversie sia, soprattutto, di aver concordemente designato la ICC come ente arbitrale deputato ad emettere il lodo.

La parte minoritaria dei giudici invece negava la validità della clausola, sul presupposto che la legge cinese precludesse agli enti stranieri di condurre arbitrati in Cina.

La Corte Suprema Cinese con sentenza del 25 Marzo 2013, modificando il proprio orientamento ermeneutico ([4]), ha accolto le argomentazioni della maggioranza dei giudici della Corte di Anhui stabilendo, in primo luogo, che l’espressione “place of jurisdiction shall be Shanghai, China” contenuto nella clausola compromissoria doveva essere interpretato nel senso che il luogo in cui si sarebbe svolto l’arbitrato era Shanghai, non che si dovesse applicare la legge cinese. Purtuttavia l’applicazione della legge locale dipendeva, secondo la Suprema Corte, dall’Art. 16 delle Interpretazioni (rese dalla Corte stessa) alla Legge Arbitrale Cinese del 2006 in base alla quale il luogo in cui si svolge l’arbitrato individua anche la legge ad esso applicabile. Infine la Corte Suprema, sempre facendo proprie le argomentazioni della maggioranza dei giudici di Anhui, aveva stabilito che la clausola compromissoria fosse valida perché erano soddisfatti i tre requisiti indicati dall’Art. 16 della Legge Cinese sull’Arbitrato.

La sentenza del 2006, come già avvenuto in passato, non affronta il problema dell’ammissibilità (o meno) di una procedura arbitrale in Cina condotta da enti stranieri; ne consegue che l’eseguibilità del lodo arbitrale reso in Cina da istituzioni estere (sulla base di una clausola compromissoria che soddisfi i tre requisiti dell’Art. 16 della Legge Cinese sull’Arbitrato) non è affatto certa. Anzi.

L’Art. 1 della Convenzione di NY, adottata anche dalla Cina, stabilisce che “This convention shall apply to the recognition and enforcement of arbitral awards made in territory of a State other than the State where the recognition and enforcement of such award are sought, and arising out of differences between persons, whether physical or legal. It shall also apply to arbitral awards not considered as domestic awards in the State where their recognition and enforcement are sough”. Mentre il primo criterio si applica ai lodi pronunciati al di fuori della Cina, il secondo criterio si riferisce ai lodi resi da istituzioni estere in Cina e definisce “non-domestic award” solo il lodo regolato da una legge arbitrale diversa da quella del luogo in cui si svolge la procedura arbitrale.

La sentenza della Suprema Corte, pur rappresentando un precedente molto importante, presenta ancora numerosi coni d’ombra che non consentono di trovare una soddisfacente risposta al quesito più importante: le istituzioni estere possono validamente condurre un giudizio arbitrale in Cina? Ancora oggi la risposta a questa domanda dovrebbe essere “probabilmente no” anche se la sentenza Longlide ha aperto uno spiraglio verso una soluzione positiva.

I dubbi ancora da sciogliere sono principalmente due: il primo riguarda la qualifica (“domestic award” o “non domestic award”) del lodo arbitrale reso da enti arbitrali stranieri in Cina; se (allineandosi al caso Duferco) si proponde per la seconda soluzione (cioè “non domestic award”) si deve stabilire se l’eseguibilità del lodo debba essere effettuata sulla base della Legge Cinese sull’Arbitrato o secondo la Convenzione di New York.

Risolto il primo problema, si tratta di individuare quale sia la corte cinese competente a dare esecuzione al lodo arbitrale dal momento che l’Art. 58 della Legge Cinese sull’Arbitrato stabilisce che il lodo debba essere eseguito dalla Corte Intermedia del luogo in cui si è svolto l’arbitrato condotto dall’istituzione arbitrale cinese scelta dalle parti, ma nulla dice nel caso in cui il lodo sia reso da istituzioni arbitrali straniere.

Forse i tempi non sono ancora maturi per “aprire” in modo così ampio la strada dei giudizi arbitrali in Cina anche alle istituzioni estere ma la sentenza del 2013 della Corte Suprema Cinese si può considerare un significativo passo avanti in questa direzione.

[1] Wuxi Intermediate People’s Court on July 19, 2006. The Applicant: Züblin International GmbH,a German company; the Respondent: Wuxi Woke General Engineering Rubber Co. Ltd.

[2] Cfr. Reply of the Supreme People’s Court regarding the dispute on the validity of an arbitration agreement between Anhui Longlide Packing and Printing Co. Ltd. and BP Agnati srl, Min si Ta Zi n° 13, pubblicata in Guide on Adjudication of cases involving commercial and maritime affairs, volume 26, pp. 125-129.

[3] Cfr. Jessica Fei-Arthur Ma, in HK Arbitration Bulletin, 2014: “Under a reporting system established by the SPC in 1995, a local court’s decision to refuse recognition and enforcement of a foreign arbitral award or to deny the validity of a foreign-related arbitration agreement must be reported to all levels of higher court, culminating in the SPC, for final approval. Decisions supporting recognition and enforcement of an award or confirming the validity of an arbitration agreement, however, are not subject to this reporting procedure”. Il “reporting system” è regolato dalla Circolare della Corte Suprema del Popolo sulla gestione delle controversie che coinvolgono stranieri del 28 Agosto 1995, come modificata il 23 aprile 1998: nel caso in cui la Corte Intermedia intenda dichiarare nullo una clausola compromissoria che rinvii ad un’istituzione arbitrale estera oppure si rifiuti di eseguire un lodo arbitrale straniero, deve inviare un “report” alla corte di grado superiore territorialmente competente.

[4] Nel 2004 la Corte Suprema Cinese, sulla base del precedente rappresentato dal caso Zublin, aveva dichiarato invalida una clausola compromissoria del seguente tenore: “Arbitration: ICC Rules, Shanghai shall apply”. Molti commentatori avevano citato questa decisione come dimostrazione che la ICC (così come le altre istituzioni straniere) non erano autorizzate a svolgere procedure arbitrali sul territorio cinese. In realtà, da un più attento esame della citata sentenza, emergeva che la Corte non aveva affrontato il problema dell’ammissibilità di un giudizio arbitrale in Cina condotto da enti stranieri ma aveva dichiarato l’invalidità della clausola perché non era specificamente indicato l’ente arbitrale designato a risolvere le eventuali controversie, in contrasto con la precisione che tale indicazione deve avere in base all’Art. 16 della Legge Cinese sull’Arbitrato.

Avv. Giampaolo Naronte (gnaronte@gnlex.net) – GN Lex Studio Legale
Avvocato iscritto presso l’Ordine degli Avvicati di Genova

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