Quali saranno le conseguenze del Brexit?
Innanzitutto bisogna distinguere tra effetti economici ed effetti finanziari, tra ricadute a breve e a lungo termine, tra ripercussioni sul Regno Unito e sugli altri Paesi (europei, soprattutto), tra ricadute economiche ed amministrative, sulle imprese e sui singoli cittadini, su quelli britannici in Europa e su quelli non britannici che risiedono e lavorano nel Regno Unito.
Come potete immaginare, al momento, non si può avere la pretesa di sapere con esattezza cosa accadrà, perché ai due estremi basati sulle polemiche, sugli articoli sensazionalisti, sul desiderio dei commentatori economici di apparire come dei negromanti, sulle suggestioni dei catastrofisti anti-brexit e dei complottisti pro-brexit si possono solo prendere cantonate non utili per gli scopi che ci prefiggiamo, che sono quelli di regolare bene le vele per navigare sereni in acque al momento turbolente, osservando gli eventi con realismo costruttivo, non facendoci cogliere impreparati dagli eventi ed evitando di introdurre nelle nostre riflessioni elementi di ordine meramente politico.
Nel breve periodo: le ripercussioni finanziarie del Brexit
Gli effetti a breve termine non finanziari, cioè quelli economici e amministrativi (cittadinanza, fisco, dogana, IVA, ecc), sono pressoché nulli (prossimi pochi mesi). Sulle ricadute economiche e amministrative torneremo successivamente e con più attenzione rispetto a quelle finanziarie, perché più impattanti sugli aspetti strettamente imprenditoriali.
Come si sa, i mercati registrano (ma guidano anche) effetti speculativi basati su ottimismo/pessimismo. Molto spesso, appunto, si tratta di guizzi repentini che non rispecchiano necessariamente i fondamentali di un’entità economica ma possono essere anche solo riflessi speculativi. Se non avete interessi di ordine direttamente finanziario (investimenti in valuta o investimenti diretti al London Stock Exchange) o programmi di dismissioni immobiliari UK, guarderei il tutto con il disincanto con cui si osserva una temporanea crisi di nervi di una persona ben conosciuta come solida e posata. Dal punto di vista degli imprenditori italiani con società UK, gli aspetti finanziari sono quelli meno immediatamente percepibili.
In effetti, com’era prevedibile, già all’indomani del voto per il Brexit, le principali agenzie di rating hanno fatto dichiarazioni di orientamento al ribasso per la Gran Bretagna. Standard & Poor’s ha dichiarato che il Brexit “segna la fine” dello status di AAA del Regno Unito. Certo c’è da chiedersi se il downgrade potrà essere di una tacca o di due. Lo stesso tipo di valutazione ha fatto Moody’s.
La sterlina è scesa inizialmente di 6pc a € 1,23 contro l’euro, comunque ben lungi dalle previsioni di parità, che già non erano non credibili. La perdita contro il dollaro USA è stata più ripida, ma a $ 1,37 si è fermata, e la violenza apparente della caduta è stata amplificata dalle ore di picco verso l’alto dei giorni precedenti.
Il FTSE 250 è sceso di 7.2pc, il peggior calo in un solo giorno dal 1987, e ci sono stati anche cadute da film dell’orrore: titoli che hanno perso oltre 25pc o Barclays che ha perso 17.7pc.
È una situazione con perdite importanti ma non è una crisi finanziaria sistemica e non è stata una crisi globale. L’indice S & P 500 degli stock di Wall Street ha aperto giù 2.6pc, un brutto giorno, ma non un dramma. Gli “alert” di distruzione catastrofica si sono rivelati inappropriati, se non una bufala da campagna elettorale.
Ovviamente le quotazioni dell’oro sono subito salite, essendo l’oro un bene rifugio per eccellenza.
In Italia, il settore bancario ha accusato pesantemente il colpo e da noi i pericoli certamente abbondano anche per motivi strutturali non legati al Brexit. I titoli bancari di Intesa Sanpaolo e Unicredit sono caduti di 22pc, dimostrando quanto sia difficile per il governo italiano puntellare un sistema bancario sotto i vincoli dell’UEM. Quindi, non è una sorpresa che le borse di Milano e Madrid abbiano entrambe perso circa 11pc.
In UK il FTSE 100, un indice relativo alle aziende di maggiori dimensioni, ha aperto oggi in ripresa dell’1,3 per cento e il FTSE 250 è cresciuto del 5%, il che dimostra come gli investitori possano anche adattarsi a periodi di grande incertezza. In realtà, se proprio si vuole trovare la prova che il Brexit non abbia spaventato i mercati finanziari, il FTSE 250 resta un indicatore migliore del FTSE 100, perché comprende società più piccole e meno internazionalizzate, più legate all’economia che alla finanza. E la ripresa del FTSE 250 di oggi va presa con le pinze, stante la volatilità dei mercati. Il FTSE 250 che venerdì aveva perso 7.2pc venerdì e che in totale ad oggi è sceso di 13.6pc, prova che, per quanto il Brexit non abbia determinato un rivolgimento epocale per il Regno Unito come fu la crisi Lehman, comunque la si voglia vedere, ha determinato un crollo.
In ogni caso, a riprova dell’andamento ondivago nel breve periodo della finanza di cui si diceva all’inizio, già oggi mercoledì 29.06.2016, almeno il tasso di cambio della Sterlina sull’Euro è leggermente migliorato e si può considerare stabilizzato. E la sterlina sembra aver recuperato anche nei confronti del dollaro.
Assisteremo a queste oscillazioni finanziarie anche nei giorni a venire. Oggi si può solo dire che, dal punto di vista finanziario, non c’è stato un terremoto devastante ma gravi smottamenti.
Cercheremo nei prossimi giorni di porre l’attenzione, piuttosto, sugli aspetti economici e amministrativi, più utili dal punto di vista strettamente imprenditoriale, che esplicheranno i loro effetti sul medio e lungo termine e che saranno legati alle vicende politiche dell’attivazione della procedura di cui all’articolo 50 del trattato di Lisbona di cui abbiamo parlato ieri.
Paolo Battaglia
Dottore Commercialista in Ragusa e ACA Chartered Accountant (ICAEW) a Londra
info@studiobattagliacommercialisti.it
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