L’ultimo dei tre possibili scenari previsti dai 100 economisti intervistati in un sondaggio del Financial Times è quello più negativo, rispetto ai primi due che immaginano rispettivamente un vibrante rilancio dell’economia a seguito dell’abbandono delle regole UE e nel secondo caso un sostanziale nulla di fatto (nè positivo, nè negativo) dopo un primo periodo di turbolenza e incertezza.
3. Il Brexit si rivela una scelta disastrosa
L’economia della Gran Bretagna del dopo Brexit inizia a soffrire, i negoziati con l’Unione europea si rivelano irti di difficoltà e i rapporti commerciali con l’Europa peggiorano, senza compensazioni né benefici altrove. L’economia della Gran Bretagna non tiene il passo volta a cadere con quella dei partner europei del Paese.
Dopo aspre trattative, che generano nel frattempo sfiducia degli operatori economici in UK, la Gran Bretagna mantiene rapporti commerciali in qualche modo flessibili con l’UE ma la libera circolazione delle persone e delle merci è ridotta, al prezzo di una posizione più debole nell’accesso al mercato UE di beni e servizi in particolare. La Gran Bretagna sperimenta difficoltà a firmare accordi commerciali vantaggiosi anche con gli altri Paesi extra-UE, riceve meno investimenti diretti esteri, ha meno immigrati e l’economia complessivamente non migliora.
Un accordo di libero scambio non è la stessa cosa che essere in un mercato unico, si finisce per dover rispettare norme e regolamenti, che possono essere ancora più lunghi e farraginosi per ogni singolo prodotto e particolarmente dannosi per le piccole e medie imprese. I sostenitori del Brexit sarebbero troppo ottimisti circa la facilità di firma di nuovi accordi commerciali con altri paesi. Ad esempio, gli Stati Uniti, nel dare la priorità ad accordi commerciali, dovendo scegliere tra UK e UE chi sceglierebbero? Con un numero limitato di negoziatori, che mercato finirebbero con lo scegliere?
Raoul Ruparel di Open Europe esprime anche preoccupazioni per il forte effetto negativo di un giro di vite sull’immigrazione dall’UE, che potrebbe ridurre una disponibilità già limitata di manodopera qualificata.
Per Ryan Bourne dell’Institute of Economic Affairs, la questione se nel post-Brexit il Regno Unito avrà oneri burocratici e normativi più leggeri o più pesanti rimane profondamente controversa. I sostenitori del Brexit riconoscono che i regolamenti del Regno Unito sono spesso di più ampia portata e più restrittivi rispetto alle norme UE su cui si basano.
Michael Saunders, economista di Citigroup, prevede una serie di tre grandi scosse: un peggioramento delle esportazioni a causa del minore accesso da parte dell’UE ai servizi (soprattutto) finanziari e alle merci UK; scarsa crescita e minore propensione ai consumi per via dei flussi migratori ridotti; più debole crescita degli investimenti, che riflette i fattori di cui sopra, oltre alle condizioni generali di incertezza. Tutto ciò avrebbe ripercussioni sul bilancio del governo, che richiederebbe tasse più alte o più bassa spesa pubblica a fronte di un aumento dei costi di finanziamento del deficit. Una direzione in esatto contrasto con quanto in questi giorni dichiarato dal cancelliere dello scacchiere Osborne al Financial Times, e cioè fisco più leggero del 5% per le aziende, portando la tassazione sulle imprese al 15% (salvo poi essere stato subito rintuzzato dall’Ocse: “Ci sono barriere pratiche e di politica nazionale”).
In definitiva, in questo terzo scenario, con rischi economici chiari e facilmente specificati nel breve termine, il Brexit non passerebbe facilmente una attenta analisi costi-benefici. Ma anche i sostenitori a spada tratta della UE dovrebbero fare attenzione quando vaticinano disastri commerciali nel medio e lungo periodo, dal momento che il commercio è solo uno dei motori di crescita e prosperità.
Paolo Battaglia
Dottore Commercialista in Ragusa e ACA Chartered Accountant (ICAEW) a Londra
info@studiobattagliacommercialisti.it
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