Ultimamente abbiamo assistito ad un gran parlare ed un gran legiferare, tanto in sede nazionale che in sede internazionale, in materia di paradisi fiscali e di società off-shore. Il presupposto, non dimostrato, che ha giustificato tutta questa attività risiede nella pretesa che le società off-shore siano utilizzate ai fini di frode fiscale, di riciclaggio di denari provenienti da attività criminali, di finanziamento del terrorismo internazionale. Quadro veramente fosco.
Nella realtà la stragrande maggioranza delle società off-shore sono costituite per tutelare il patrimonio, per salvaguardare una privacy variamente minacciata, per sistemare situazioni familiari o patrimoniali o societarie particolarmente articolate e complesse. Niente di speciale: non fa cronaca. Comunque, da questo panorama, ne usciamo con una certezza.Il cittadino di uno stato a fiscalità “ordinaria” ha diritto di costituire, possedere ed utilizzare una o più società off-shore. Nessuno nega la realità di questo diritto, tuttavia la quasi totalità dei governi non si risparmia nel tentativo di limitare il pacifico godimento di questo diritto.Obblighi di dichiarazione, obblighi di comunicazione, obblighi contabili e chi più ne ha più ne metta.
L’internazionalizzazione dei commerci.
L’internazionalizzazione è unanimemente riconosciuta come una necessità per la sopravvivenza delle imprese, siano esse piccole o medie imprese, oppure grandi società e gruppi. Tutti gli stati, Italia compresa, hanno legiferato allo scopo dichiarato di agevolare l’internazionalizzazione: sono stati previsti aiuti, agevolazioni e contributi. Per contro troviamo un’intensa attività internazionale volta alla lotta contro l’evasione fiscale che, in parte, si presume essere legata all’internazionalizzazione dei commerci. Dopo il G20 del 2009 l’Ocse ha provveduto ad elaborare tre diversi tipi di liste:
– nera (elenco di Stati, territori o giurisdizioni che non si sono impegnati a rispettare gli standard internazionali);
– grigia (elenco di Stati, territori o giurisdizioni che si sono impegnati a rispettare gli standard internazionali ma che, ad oggi, hanno siglato meno di dodici accordi conformi a questi standard); _ – bianca (elenco di Stati, territori o giurisdizioni che hanno seguito le regole internazionali, stipulando almeno 12 accordi conformi a queste regole).
L’Ocse pubblica il suo rapporto il 3 settembre 2010:
• lista bianca 75 paesi;
• lista grigia 13 paesi (Belize, Isole Cook, Liberia, Isole Marshall, Montserrat, Nauru, Niue, Panama, Vanuatu, Costa Rica, Guatemala, Filippine e Uruguay) i quali hanno sottoscritto accordi bilaterali per gli scambi delle informazioni fiscali, nel rispetto degli standard internazionali, ma non li hanno ancora effettivamente applicati;
• lista nera: nessuna giurisdizione, fine dei paradisi fiscali.Il Modello Ocse 2010 regola lo scambio di informazioni tra gli Stati convenzionati sia in ordine all’applicazione della Convenzione sia lo scambio di informazioni riguardanti la fiscalità interna dei paesi.Alcuni paesi europei formulano alcune riserve.
L’ Austria ha accettato lo scambio di informazioni bancarie soltanto in presenza di investigazioni criminali concernenti il compimento di frodi fiscali.
La Svizzera accetta lo scambio di informazioni bancarie soltanto nei casi di frode fiscale puniti con la reclusione in entrambi i Paesi.
Il Belgio si è riservato il diritto di non includere il paragrafo 5 nelle sue convenzioni e, in caso di inserimento, lo scambio di informazioni opera soltanto in relazione a una richiesta congiunta relativa a uno specifico soggetto e ad una specifica banca.
Il Lussemburgo si è semplicemente riservato il diritto di non includere il paragrafo 5 nelle sue convenzioni.
L’ Italia si riserva la facoltà di chiedere al Paese estero, firmatario della convenzione, informazioni utili all’applicazione di normative interne.
Nel mutato contesto fiscale internazionale si da per scontato che la trasparenza fiscale e lo scambio di informazioni sono ormai un fatto acquisito.
L’Italia redige, ai soli fini della indeducibilità dei costi per gli acquisti ed i servizi da Paesi con fiscalità leggera, una propria black-list, diversa ed autonoma rispetto a quella Ocse, approvata e sottoscritta anche dall’Italia. La black list italiana, attribuisce rilevanza alla non appartenenza all’Unione Europea dello Stato estero, ed è strutturata a livelli.
La black list italiana è strutturate su tre “livelli”:
PRIMO LIVELLO. Riguarda i territori e gli Stati ai quali si applica, sempre e comunque (fatti salvi i casi di disapplicazione di cui al comma 11 dell’art. 110), il regime di indeducibilità;
SECONDO LIVELLO. Riguarda, invece, i territori e gli Stati nei cui confronti si applica il regime di indeducibilità per tutte le tipologie di imprese, ad eccezione dei soggetti specificamente individuati sulla base di criteri ben definiti, quali, ad esempio, l’attività svolta, la percentuale di fatturato realizzato fuori dal territorio dello Stato, ecc.;
TERZO LIVELLO. Riguarda, infine, quei territori e quegli Stati per i quali il regime di indeducibilità trova applicazione limitatamente ai soggetti ed alle attività specificamente individuati dal provvedimento.
Nuovo elenco degli Stati a regime fiscale privilegiato (DM 23.01.2002) modificato DM 22.03.2002)
Per tutte le imprese:
Alderney (Isole del Canale),Andorra, Anguilla, Antille Olandesi, Aruba, Bahamas, Barbados, Barbuda, Belize, Bermuda, Brunei, Filippine, Gibilterra, Gibuti (ex Afar e Issas), Grenada, Guatemala, Guernsey (Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Hong Kong, Isola di Man, Isole Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini britanniche, Isole Vergini statunitensi, Jersey (Isole del Canale), Kiribati (ex Isole Gilbert), Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Maldive, Malesia, Montserrat, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Oman, Polinesia francese, Saint Kitts e Nevis, Salomone, Samoa, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Sant’Elena, Sark (Isole del Canale), Seychelles, Singapore, Tonga, Tuvalu (ex Isole Ellice), Vanuatu.
Nuovo elenco degli Stati a regime fiscale privilegiato (DM 23.01.2002) modificato DM 22.03.2002)
Per tutte le imprese tranne quelle escluse e che troviamo precisate per i seguenti paesi: Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Monaco Principato, Singapore, Angola, Antigua, Corea del Sud, Costarica, Dominica, Ecuador, Giamaica, Kenya, Malta, Mauritius, Portorico, Panama, Svizzera, Uruguay,
In Italia viene introdotto un nuovo obbligo di comunicazione.
Al fine di contrastare le frodi fiscali è stato introdotto l’obbligo, per tutti i soggetti passivi IVA, di comunicare all’Agenzia delle Entrate, in via telematica, le cessioni ed acuisti di beni e le prestazioni di servizi rese o ricevute da e verso operatori residenti in Paesi compresi nella black list italiana.
Gli imprenditori italiani sono invitati ad internazionalizzare la loro attività ed al tempo stesso vengono imposti loro nuovi adempimenti amministrativi e contabili oltre una nuova indeducibilità di costi sulla base di semplici presunzioni, presunzioni che in realtà hanno le sole caratteristiche della congettura.
Non basta: dopo aver penalizzato gli imprenditori nazionali, con restrizioni e nuove sanzioni, il legislatore italiano stabilisce che gli operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in paesi della black list italiana sono ammessi a partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e/o forniture. Come si “suol dire”: i paradisi fiscali sono usciti dalla finestra ma rientrano dalla porta principale.
Ed allora parliamo di società estere: nella comunità europea, internazionali, offshore.
La costituzione di una società all’estero è una pratica semplice e rapida i tempi di costituzione vanno da qualche ora a qualche settimana.
Dove costituire la propria società estera?
Si può scegliere tra differenti giurisdizioni e stati per costituire la propria società estera.
Tra queste destinazioni, si può scegliere se costituire la società in Europa ( onshore ) in uno stato a fiscalità vantaggiosa, o semplicemente in uno stato “ offshore ” dove la tassazione sarà idealmente dello 0%, nessuna contabilità da tenere, nessun rendiconto da presentare e l’anonimato assoluto e garantito.
Che cosa è una società Offshore?
Originariamente si definiva off-shore una società che era costituita in un determinato stato ed era finalizzata ad esercitare l’attività al di fuori di questo stato. Col tempo la significazione è cambiata; oggi per off-shore si intende una società costituita in uno stato con fiscalità ridotta o vantaggiosa e che esercita la sua attività, di solito a mezzo di controllate, succursali o filiali, in uno stato a tassazione ordinaria.
Una società Offshore è spesso “non imponibile”, e di conseguenza non si è obbligati alla tenuta della contabilità ed alla redazione di bilancio, o alla presentazione della dichiarazione dei redditi.
Negli altri casi gli obblighi contabili, di bilancio e di dichiarazione sono minimi e la gestione si riduce, in pratica, alla tenuta ed al controllo del conto corrente bancario o poco più, e può essere amministrata da qualsiasi parte del mondo.
Il tempo di costituzione della società varia, normalmente, da un giorno a circa quindici giorni.
Che cosa è una società Onshore?
Nel linguaggio internazionale sono quelle società costituite nell’ Unione Europea, o in altri stati a tassazione ordinaria. Quando queste società sono controllate da società costituite negli stati che offrono una fiscalità vantaggiosa; queste ultime si dicono “onshore” e sono un complemento, utile e necessario, delle società Offshore.
La scelta della giurisdizione.
Vi sono molti paesi che permettono la registrazione una società straniera; a scelta deve essere fatta in funzione dell’ attività, della residenza dei clienti e dei fornitori, della nazionalità, della situazione fiscale, e di tutti gli altri elementi utili.
Competenza e rigore.
Un’ analisi attenta della situazione permette di studiare e creare una struttura adatta alle necessita ed agli obiettivi di chiunque.
La fattibilità del progetto e la scelta della giurisdizione ideale permettono di comprendere le possibilità che vengono offerte in materia di delocalizzazione.
Presenza, disponibilità e perennità nel tempo.
Per una integrazione ottimale nell’ambiente internazionale, ed una immediata fruttuosità della vostra iniziativa, i nostri consulenti vi illustreranno tutti gli aspetti dell’internazionalizzazione, e resteranno a vostra disposizione per il primo anno senza dover sostenere ulteriori costi.
La nostra consulenza non vuole ridursi ad una prestazione unica: noi restiamo disponibili al fine di seguire la vostra evoluzione e rispondere alle vostre necessità sia di breve che di lungo termine.
Be the first to comment