Profili penali della L. 15 dicembre 2014 n. 186 che ha introdotto nell’ambito del D.L. 1671990 sul monitoraggio fiscale la procedura di volontaria collaborazione.
Alcuni contenuti testuali erano già presenti nel decaduto decreto legge 28.1.2014, N. 4, altri sono invece completamente innovativi.
Si è mantenuto rispetto all’accesso alla procedura lo sbarramento della ‘formale conoscenza’ di accessi, ispezioni, verifiche o più in generale di qualunque attività di accertamento amministrativo o di apertura di procedimenti penali.
Si è ribadito il concetto che non potrà accedersi alla procedura anche nel caso in cui la formale conoscenza sia stata acquisita dagli obbligati in solido sotto il profilo tributario ovvero dai soli concorrenti nel reato.
Il nuovo testo della legge, approvato dal Senato, estende la facoltà di accedere alla procedura (art. 1 comma 2) a chiunque abbia in ogni modo violato gli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte dei redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive, dell’imposta sul valore aggiunto commesse fino al 30 settembre 2014.
La voluntary discosure si applica quindi anche ai soggetti (persone fisiche o persone giuridiche) che abbiano occultato in Italia le somme di denaro e le altre disponibilità sottratte a tassazione.
Ne deriverebbe, quindi, che “la formale conoscenza” dovrebbe inibire la procedura di autodenuncia con riferimento ai soli redditi allocati all’estero, mentre, in caso di voluntary domestica, essa dovrebbe conservare la sua piena efficacia anche nell’ipotesi in cui il contribuente abbia medio tempore saputo, in relazione ai fatti denunciati, dell’esistenza di una indagine amministrativa o penale.
Molti problemi possono sorgere in relazione alla formulazione testuale, che sancisce come l’accesso alla procedura sia inibito dalla ‘formale conoscenza’ ricaduta esclusivamente in capo a taluno dei co-obbligati (sotto il profilo fiscale) o coindagati dal punto di vista penale, indipendentemente dal fatto che il singolo contribuente notiziato ne abbia o meno data notizia all’interessato all’accesso alla procedura di autodenuncia.
La voluntary disclosure è causa di non punibilità per i seguenti reati tributari:
– dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
– dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici;
– dichiarazione infedele;
– omessa dichiarazione;
– omesso versamento di ritenute certificate;
– omesso versamento IVA.
Ossia artt. 2,3,4,5, 10 bis e 10 ter D. lgs n. 742000.
Il mancato inserimento dell’art. 8 del medesimo decreto legislativo – ossia quello che disciplina l’emissione di fatture per operazioni inesistenti – pone necessariamente alcune problematiche quanto alle cosiddette frodi carosello.
Es. una società vende beni ad altra società qualificata come esportatrice abituale. Il fatto che la società acquirente abbia tale qualifica apparente consente alla società venditrice di vendere senza computo IVA. La società esportatrice, poi, vende la merce all’acquirente finale italiano, allo stesso prezzo al quale la merce è stata acquistata dalla società venditrice italiana, applicando l’IVA.
Viene accertato che la società apparentemente esportatrice rappresenta in realtà una mera interposizione fittizia (ossia una ‘cartiera’) gestita dallo stesso amministratore della società venditrice, artificiosamente immessa nella catena commerciale al solo fine di incassare l’IVA dal cliente finale senza versarla all’Erario, da ritrasferire all’estero su un conto corrente riferibile sempre alla stessa società venditrice originaria.
In questo caso, la Autorità Giudiziaria potrebbe contestare all’Amministratore della società venditrice originaria il reato di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto la vendita eseguita dalla prima società alla seconda e da questa al compratore finale italiana, dovrebbe essere ritenuta compravendita diretta da parte della prima società al cliente finale, situazione delittuosa che rientra tipicamente nella previsione di cui all’art. 8 D. lgs. 742000.
Tale operazione, quindi, non sarebbe coperta dalla voluntary disclosure nuova formulazione. In caso di adesione alla procedura in parola, dunque, l’Amministratore della società che decidesse di prestare la collaborazione volontaria con riferimento al profitto illecito tratto dalla operazione non avrebbe copertura penale, non operando la causa di non punibilità.
Ulteriore esempio: Un soggetto che in passato ha accumulato all’estero capitali sottratti a tassazione mediante il meccanismo delle fatture false emesse da altro soggetto, decide di aderire alla procedura della voluntary disclosure per tutte le operazioni oggetto di falsa fatturazione.
Questi quindi effettua nei confronti dell’Agenzia delle Entrate la segnalazione di tutte le operazioni illecite e paga le relative tasse.
A seguito dei versamenti effettuati e della comunicazione di conclusione della procedura all’Autorità Giudiziaria, come previsto dall’art. 5 quater, comma 3 nuova formulazione D.L. 16790, si avrà che l’Autorità Giudiziaria certamente non potrà procedere nei confronti del contribuente che ha regolarizzato la posizione, in quanto l’art. 2 D.lgs. n. 742000 è ‘coperto’ dalla nuova disciplina della voluntary disclosure, ma sarà certamente nella posizione di obbligatoria apertura del procedimento penale nei confronti del soggetto che nell’operazione con il contribuente aderente alla procedura di collaborazione volontaria, ebbe ad emettere le false fatture, fattispecie che rientra nella previsione di cui all’art. 8 del D. lgs n. 742000 escluso dal novero delle cause di non punibilità in caso di disclosure volontaria.
Si avrà in questo caso che la procedura posta in essere dal primo contribuente si trasformi in una sostanziale denuncia di reato nei confronti del ‘concorrente’ ossia del soggetto autore della operazione che pose in essere le condotte di falsa fatturazione.
Va ancora precisato che quanto alle previsioni di reato disciplinate dall’art. 648 bis c.p. (riciclaggio) o dall’art. 648 ter c.p. (impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita), si avrà copertura, ossia sussisterà causa di non punibilità in sede penale, purché commessi in relazione a proventi di uno degli illeciti tributari coperti dalla voluntary disclosure (artt. 2,3,4,5,10bis, 10ter D.L. N. 16790). Altrettanto non può affermarsi laddove il riciclaggio o l’impiego di denaro o utilità illecite riguardino differenti ipotesi di reato tributario.
Si tratta, in ogni caso, di previsione che comporterà molte discussioni ed estensioni giurisprudenziali, atteso che per definizione il contribuente autore di queste violazione tributarie non potrebbe mai commettere il delitto di riciclaggio, in quanto autore delle condotte presupposte.
Altro tema di discussione è e sarà la mancata previsione tra le violazioni coperte da voluntary disclosure della fattispecie delle false comunicazioni sociali, disciplinata dagli artt. 2621 – 2622 C.C..
Laddove, infatti, il profitto, o meglio la provvista sottratta alla tassazione (esempio per la corruzione) derivasse dalla esposizione nelle scritture sociali di fatti materiali non corrispondenti al vero, la voluntary disclosure non opererebbe come causa di non punibilità.
L’art. 5 septies D.L. 1671990, novellato, introduce al primo comma una nuova ipotesi di reato:
Esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero (reclusione da uno a sei anni). La ratio è quella di garantire la piena genuinità delle informazioni oggetto di autodenuncia, sanzionando chi pur avendo deciso di fare emergere capitali detenuti all’estero, lo faccia mediante una alterazione delle operazioni che li avevano generati.
Si tratta di una nuova ipotesi di falsità commessa da privato che viene sanzionata in termini di evidente maggiore severità di quanto avvenga per le omologhe condotte ordinariamente ricondotte nel novero delle falsità in scrittura privata già esistenti nel nostro ordinamento.
Non solo, la sanzione da uno a sei anni di reclusione, sembra punire tali condotte anche in misura assai superiore rispetto ad azioni di falsità (materiali o ideologiche) commesse da pubblico ufficiale (art. 476 c.p. – 479 c.p.).
Si pongono quindi profili di incostituzionalità per disparità di trattamento.
Tale rigore sanzionatorio comporta, novità assoluta, la ammissibilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali nonché di quelle telematiche ai sensi degli artt. 266 e seguenti c.p.p..
Il risultato pratico è quello di fornire all’Autorità Giudiziaria uno strumento notoriamente invasivo per accertare la natura delle operazioni oggetto di voluntary disclosure.
Anche il previsto rilascio al professionista, da parte del contribuente, di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà contenente informazioni false, costituisce autonoma fattispecie di reato, differente da quella prevista al comma 1 dello stesso articolo (art. 5 septies, comma 2).
In estrema sintesi può quindi affermarsi che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene considerata al pari di una dichiarazione fatta a pubblico ufficiale, con la conseguenza che può integrare la previsione di reato disciplinata dall’art. 483 c.p. ove sia ideologicamente falsa (art. 483 c.p. falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico).
Ulteriore tematica da approfondire è quella inerente gli obblighi di denuncia del professionista che assiste il soggetto che aderisce alla voluntary disclosure, nel caso in cui abbia informazioni dirette di ‘operazioni sospette’ che abbiano consentito l’allocazione di capitali all’estero, secondo il precetto di cui all’art. 41 D. lgs n.2312007.
Sembra doversi concordare con la dottrina allo stato dominante, che ritiene di estendere anche alla procedura di voluntary disclosure, l’esenzione prevista dall’art. 12 c. 2 D.lgs. 2312007 per i professionisti.
In altri termini deve ritenersi che l’intervento professionale prestato ai fini espliciti della voluntary disclosure esima il professionista dall’obbligo di segnalazione di operazioni sospette, perché l’esenzione prevista dal citato art. 12, D. Lgs. 2312007 prevede tanto la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento che le informazioni ricevute nel corso dell’esame della posizione giuridica del cliente.
Il problema, semmai, riguarda i soggetti diversi dai professionisti (avvocato, commercialista, notaio, esperto contabile) intervenuti, eventualmente, nella procedura di autodenuncia (esempio, intermediari e banche) che non rientrano nel novero dei soggetti esentati a mente del citato art. 12 D. Lgs. 2312007.
Occorre, in questo ambito, un intervento che colmi le possibilità di contrastanti interpretazioni della legge, in ragione del silenzio sul punto.
Ove non intervengano, dunque, quantomeno circolari ministeriali al riguardo deve ritenersi che tali soggetti possano sentirsi tenuti alla segnalazione o essere chiamati a rispettare tale obbligo di segnalazione.
L’ulteriore profilo penale di interesse attiene l’introduzione della nuova fattispecie di reato disciplinata dall’art. 648 quater, ossia l’autoriciclaggio, di cui si è parlato in altri interventi precedenti.
Roberta Ligotti
Avvocato in Milano
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