Negli anni scorsi, le cooperazioni finalizzate alla sostenibilità sembravano destinate a rappresentare la nuova frontiera dell’antitrust. Oggi, tuttavia, emerge una certa disillusione: il numero di cooperazioni note e ufficialmente giustificate da obiettivi di sostenibilità resta esiguo. Tali forme di cooperazione stanno incontrando nuove resistenze negli Stati Uniti.
È opportuno segnalare che ciò che appare percorribile in Europa potrebbe rivelarsi una sfida ben più complessa oltreoceano.
L’applicazione delle argomentazioni legate alla sostenibilità è estremamente ampia. In alcuni casi, la sostenibilità rappresenta il principale criterio di giustificazione; in altri, costituisce solo un effetto collaterale di una cooperazione comunque ammissibile.
In linea generale, i criteri antitrust tradizionali si applicano anche alle collaborazioni orientate alla sostenibilità. Tuttavia, pur restando fedeli ai propri principi in materia di concorrenza, sia l’Ufficio federale tedesco per la concorrenza (FCO) sia la Commissione Europea mostrano una crescente apertura ad applicare tali criteri, tenendo conto degli obiettivi di sostenibilità.
Per ottenere un via libera, gli accordi devono essere trasparenti, circoscritti nella loro portata e dimostrare una comprovata necessità. Il livello di soglia rimane elevato, ma vi è una consapevolezza diffusa del fatto che le collaborazioni per la sostenibilità meritano una valutazione equilibrata e costruttiva.
Questo orientamento emerge chiaramente anche nelle Linee guida orizzontali della Commissione, che dedicano un intero capitolo alle collaborazioni in materia di sostenibilità.
In un contesto segnato da crescenti tensioni globali, resta da chiedersi, soprattutto per le iniziative con implicazioni transfrontaliere, se la buona volontà sia effettivamente condivisa su scala internazionale. Alla luce di alcuni recenti sviluppi negli Stati Uniti, qualcuno potrebbe dubitare che tale apertura esista davvero.
A livello federale, la Divisione Antitrust del Dipartimento di Giustizia e la FTC hanno presentato una dichiarazione congiunta di interesse nella causa promossa dal Procuratore Generale del Texas contro BlackRock, State Street e Vanguard. Secondo il relativo comunicato stampa, le tre società sono state accusate di aver partecipato a una cospirazione anticoncorrenziale volta a ridurre la produzione di carbone nell’ambito di un’iniziativa di settore “Net Zero” mirata a promuovere gli obiettivi ESG contrari al carbone. Le aziende avrebbero utilizzato la propria posizione di azionisti in imprese concorrenti del settore carbonifero per spingerle a diminuire la produzione complessiva di carbone. In base alla denuncia promossa da diversi Stati, tali condotte, unite allo scambio illecito di informazioni sensibili sotto il profilo concorrenziale e ad altre presunte condotte, avrebbero contribuito a far aumentare i prezzi del carbone, costringendo i consumatori americani a pagare di più per l’energia, il tutto nell’ambito di uno schema ideologico ritenuto illecito.
A livello statale, 23 Procuratori Generali statunitensi hanno inviato una lettera alla Science Based Targets Initiative (SBTi), chiedendo informazioni dettagliate sull’organizzazione e sui suoi membri. Fondata nel 2015, la SBTi si propone di rendere la definizione di obiettivi ambientali, basati sulla scienza, una prassi aziendale comune. L’iniziativa stabilisce e promuove le migliori pratiche per la riduzione delle emissioni e per gli obiettivi net-zero, fornisce consulenza tecnica e offre una convalida indipendente degli obiettivi delle imprese.
La lettera ha sollevato dubbi circa possibili violazioni delle norme antitrust, delle leggi a tutela dei consumatori e di altre disposizioni, in relazione alla partecipazione delle aziende alla coalizione net-zero. I Procuratori Generali hanno richiamato in particolare lo standard Financial Institutions Net-Zero (FINZ), recentemente pubblicato dalla SBTi, suggerendo che potesse equivalere a un accordo volto a limitare i finanziamenti e le assicurazioni per i settori petrolifero e del gas. La richiesta di informazioni segue analoghe citazioni rivolte al CDP (precedentemente Climate Disclosure Project) e alla stessa SBTi da parte del Procuratore Generale della Florida.
Nel 2024, il Procuratore Generale del Nebraska, unitamente a due associazioni di categoria, ha promosso un’azione legale nei confronti di diversi produttori di camion. La denuncia sostiene che tali imprese hanno cospirato al fine di ridurre la produzione di motori a combustione interna per veicoli medi e pesanti, nell’ambito della loro iniziativa Clean Truck Partnership, sviluppata in collaborazione con il California Air Resources Board.
Secondo l’accusa, l’accordo in questione costituiva un’intesa orizzontale illecita, finalizzata a limitare la produzione, incrementare i prezzi e restringere la scelta dei consumatori. La presunta condotta avrebbe avuto un impatto particolarmente negativo sui settori agricolo e logistico, che fanno forte affidamento su flotte di camion diesel per il trasporto su lunghe distanze.
Inoltre, l’attuale contesto politico potrebbe favorire l’avvio di ulteriori azioni legali da parte di soggetti privati, incrementando significativamente il rischio complessivo connesso alle iniziative di sostenibilità.
Una delle principali sfide delle iniziative ESG risiede nel fatto che esse perseguono obiettivi sociali di ampio respiro, con possibili implicazioni in termini di aumento dei costi diretti per i consumatori. Ad esempio, l’adozione di standard ambientali più rigorosi in un determinato settore può comportare un incremento dei costi di produzione e, di conseguenza, prezzi più elevati per i consumatori finali, mentre i benefici derivanti sono spesso indiretti, di lungo periodo o difficilmente quantificabili. Qualora tali effetti positivi non vengano riconosciuti, risulta complesso giustificare tali iniziative, soprattutto negli Stati Uniti, dove l’analisi antitrust pone un’enfasi particolare sul benessere dei consumatori.
Per giustificare iniziative di sostenibilità in base ai principi antitrust, le autorità di regolamentazione antitrust, così come il contesto politico generale, devono spesso riconoscere effetti positivi che potrebbero non manifestarsi immediatamente. Al momento, tale approccio non sembra prevalente negli Stati Uniti. Di conseguenza, le aziende europee e, più in generale, quelle attive a livello internazionale, dovrebbero valutare attentamente i potenziali impatti, sia reali sia percepiti, delle proprie iniziative sul mercato statunitense. Un’iniziativa considerata conforme alla normativa antitrust dalla Commissione Europea o da un’autorità nazionale di regolamentazione della concorrenza in Europa potrebbe comunque essere soggetta a scrutinio da parte delle autorità di regolamentazione statunitensi o di soggetti privati intenti a ricorrere legalmente. Il rischio potrebbe risultare ulteriormente elevato qualora l’iniziativa venga resa pubblica dalle autorità di regolamentazione europee.
