IL RISIKO BANCARIO ITALIANO

Il risiko bancario italiano di questi ultimi mesi, che vede coinvolti Unicredit e Banco BPM e, allargando il campo dopo gli ultimi sviluppi della vicenda, anche Crédit Agricole, registra oggi l’intervento di Andrea Orcel, C.E.O. di Unicredit che, su Linkedin, rivendica l’italianità dell’Istituto da lui amministrato.

Ma facciamo un passo indietro. Lo scorso mese di novembre Unicredit ha lanciato un’offerta pubblica di scambio (Ops) del valore di 10,1 miliardi sul Banco Bpm. Ops che si aggiunge all’offerta pubblica d’acquisto (Opa) lanciata qualche mese prima sulla banca pubblica tedesca Commerzbank, di cui Unicredit ha già una quota rilevante e mira a raggiungere la maggioranza. Il governo italiano, così come quello tedesco per la banca di Francoforte sul Meno, non ha visto di buon occhio l’operazione ed ha fatto sapere di valutare l’esercizio del golden power ritenendo, evidentemente, che tali operazioni coinvolgano imprese ritenute strategiche per l’Italia ed in generale per sua la stabilità economica. Nel frattempo, la francese Crédit Agricole, già prima azionista di Banco BPM con il 9,9% del capitale, ha prenotato con una sottoscrizione di contratti derivati un altro 5,2%, crescendo potenzialmente fino al 15,1% del capitale.

Altro inciso di una certa rilevanza: l’ex Presidente della BCE, Mario Draghi, nel suo rapporto europeo sulla competitività, ha sostenuto la necessità, in realtà auspicata da molti e certamente ben vista a Bruxelles, di creare banche e imprese europee più grandi che possano essere competitive a livello mondiale.

Orbene, oggi Andrea Orcel interviene direttamente su Linkedin mettendo in evidenza l’ambizione “di costruire la Banca per il futuro dell’Europa: un nuovo campione paneuropeo, un nuovo punto di riferimento per il settore finanziario. Un player di cui l’Italia possa andare fiera.”. Egli sottolinea come Unicredit sia “una Banca europea, ma con radici profonde e ben radicate in Italia.”; e come, pertanto, Unicredit stia investendo in Italia “per favorirne la crescita e permettergli di giocare un ruolo sempre più centrale nel mercato bancario europeo e nel contesto globale.”. “È questo – specifica –  il motivo strategico alla base delle nostre recenti iniziative di investimento in Italia.”. Viepiù, aggiunge che “la nostra visione è paneuropea, ma il cuore della nostra identità batte in Italia.”.

Dunque, una rivendicazione tout court dell’italianità di Unicredit ma anche la necessità di creare un player di livello continentale finalizzato proprio alla crescita dell’Italia: “Vogliamo fare la nostra parte e contribuire attivamente al successo del nostro Paese.”. Tutto ciò, è possibile ipotizzare, per preparare il terreno contro il sempre più certo esercizio del golden pawer da parte del governo italiano e, nello stesso tempo, per far propria l’esigenza, condivisa dalle autorità europee, di creare una banca competitiva a livello mondiale, pur nel rispetto delle proprie radici nazionali.

Sennonché, un’indiscrezione pubblicata su La Stampa del 15 gennaio 2025, farebbe intendere che Banco BPM stia valutando – ma una trattativa ufficiale ancora non risulta – di portare Crédit Agricole dalla propria parte per contrastare l’ops di Unicredit. Se fosse davvero così ci troveremmo di fronte al più marchiano dei paradossi: mentre il governo italiano valuta l’esercizio del golden power ritenendo, conseguentemente, che l’ops di Unicredit sia in contrasto con l’interesse nazionale, il Banco BPM valuterebbe di internazionalizzare ancora di più le proprie alleanze, coinvolgendo più di quanto non lo sia già la francese Crédit Agricole.

La morale di tutto questo è che, a parere di chi scrive, sarebbe bene che lo Stato italiano lasciasse liberi i players nazionali (ma ormai internazionali) di muovere le proprie pedine. Anche perché è di tutta evidenza che la creazione di banche sempre più grandi e solide, indispensabili per non soccombere a livello globale, rientra a pieno titolo nell’interesse strategico nazionale italiano.

Girolamo Lazoppina

(info@studiolegalelazoppina.com)

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