Da quando è iniziato il lockdown, nel mese di marzo, il lavoro da remoto è diventato una realtà per milioni di dipendenti che prima erano abituati a lavorare in ufficio. Ad aprile l’Office of National Statistics ha dichiarato che il 49.2% dei dipendenti lavora da casa e ad agosto, un sondaggio del governo su 4,000 dipendenti ha rivelato che un terzo dei partecipanti ritiene che non si rientrerà a lavoro fino al 2021. Un quarto dei partecipanti ritiene di ritornare in ufficio saltuariamente nel 2021 mentre l’8% crede che continuerà a lavorare da casa a tempo indeterminato. L’80% preferirebbe continuare a lavorare da casa almeno un giorno a settimana.
Sono varie le motivazioni per cui i dipendenti non vorrebbero rientrare a lavoro: preoccupazione per il virus, il desiderio di ridurre la durata degli spostamenti giornalieri e più tempo da dedicare alla famiglia. Lo smart working offre una maggiore flessibilità: sono molti gli esempi di dipendenti che non svolgono il proprio lavoro dal Regno Unito ma si spostano all’estero e continuano a lavorare per il proprio datore di lavoro nel Regno Unito.
Qui di seguito alcuni elementi che i datori di lavoro dovrebbero considerare quando i dipendenti lavorano al di fuori del Regno Unito e le misure che dovrebbero adottare per ridurre i rischi.
Implicazioni fiscali e sociali
La fiscalità e la previdenza sociale costituiscono un elemento fondamentale, che può generare complicazioni sia per i dipendenti che per i datori di lavoro.
Purché la durata del soggiorno in un paese estero non sia cosi lunga da incidere sui requisiti della residenza fiscale, i datori di lavoro continueranno a detrarre l’imposta sul reddito in base al Paye system. I datori continueranno, inoltre, a pagare i propri contributi previdenziali insieme a quelli dei dipendenti.
Le regole relative alla residenza fiscale differiscono da un paese all’altro. Nel Regno Unito la regola è che un soggetto, nel primo anno, per essere considerato residente fiscale, deve aver vissuto almeno 183 giorni in UK. Il numero di giorni che il soggetto deve trascorrere nel Regno Unito per essere considerato residente fiscale dipende anche dai legami che ha nel Regno Unito (ad esempio, casa, lavoro o famiglia). Se un soggetto è stato residente nel Regno Unito nell’ anno fiscale precedente e ha quattro o più legami con il Paese sarà considerato residente fiscale con un minimo di 16 giorni di presenza in UK e non 183.
L’imposta sul reddito può essere pagata nel paese ospitante se il dipendente diventa residente fiscale
I datori di lavoro devono considerare se la durata del soggiorno del dipendente in un Paese diverso da quello di residenza incide sulla residenza fiscale e implica il pagamento dell’imposta sul reddito o determina una responsabilità nel paese ospitante. È bene ricordare che il paese ospitante vanta dei diritti fiscali sul reddito che un dipendente percepisce mentre si trova fisicamente in quel territorio.
Il Regno Unito ha stipulato il trattato sulla doppia imposizione con molti paesi, compresi i 27 dell’Unione Europea (e alcune delle potenze economiche mondiali). Lo scopo del trattato è quello di stabilire chi ha i diritti di tassazione primaria e prevenire la doppia imposizione e lo fa trattando l’imposta pagata nel paese con i diritti di tassazione primaria come un credito verso l’imposta dovuta nel paese con i diritti di tassazione secondaria. Se il paese con diritti di tassazione primaria ha l’aliquota fiscale più elevata, non ci saranno tasse da pagare nel paese con diritti di tassazione secondaria ma permangono gli obblighi di dichiarazione per richiedere l’imposta pagata nell’altro stato.
Con riferimento alla previdenza sociale, la posizione dipenderà in larga misura dal fatto che il Regno Unito abbia o meno un accordo con l’altro paese e dalla durata del periodo di residenza nell’altro paese. Se il periodo all’estero sarà temporaneo (meno di due anni) e il Regno Unito ha un accordo di previdenza sociale con l’altro paese, è possibile continuare a pagare i contributi di National Insurance nel Regno Unito piuttosto che la previdenza sociale nell’altro paese.
Regole per la stabile organizzazione nel paese ospitante
I datori di lavoro devono assicurarsi che la permanenza del dipendente in un paese diverso dal Regno Unito non comporti la necessità di creare una stabile organizzazione. Se, ad esempio, il dipendente firma contratti e accordi all’estero, c’è la quasi certezza che si renda necessaria l’istituzione della stabile organizzazione. In questo caso, il paese ospitante vanterà dei diritti di imposta sui profitti ad essa attribuibili.
Applicazione di norme locali sul lavoro, tutela della salute e sicurezza
È possibile che i dipendenti che si spostano all’estero per vivere e lavorare, anche se per periodi brevi, rientrino nella giurisdizione del paese ospitante. Ciò significa che i dipendenti potrebbero beneficiare delle tutele locali del diritto del lavoro come paga minima, ferie annuali retribuite e diritti di licenziamento.
Tra i doveri del datore di lavoro c’è anche quello di proteggere la salute, la sicurezza e il benessere dei propri dipendenti, che include la possibilità di offrire un ambiente di lavoro sicuro anche se da remoto.
Protezione dei dati
Se il dipendente richiede di lavorare in un paese che non rientra nello Spazio Economico Europeo e che non è soggetto al Regolamento Europeo in materia di Protezione dei Dati Personali e ad altre leggi sulla privacy dell’Unione Europea, potrebbero sorgere dei problemi sul trattamento e la protezione dei dati. In tal caso i datori di lavoro dovrebbero verificare che non vi siano restrizioni territoriali all’utilizzo di software di terze parti o altri sistemi IT, che potrebbero comportare delle violazioni contrattuali con altri fornitori se il dipendente si trova all’estero.
Immigrazione
Nel caso in cui il dipendente sia cittadino del Regno Unito o europeo, dovrebbe avere diritto di lavorare e vivere in qualsiasi paese dello Spazio Economico Europeo, nonostante le modifiche che verranno apportate dopo lo spirare del termine del periodo di transizione previsto per la Brexit.
Nel caso, invece, di un dipendente non cittadino del Regno Unito, sarà opportuno considerare in che misura il periodo di assenza dal Regno Unito può incidere sulla possibilità di richiedere un visto, la residenza o la cittadinanza.
I datori di lavoro non devono dimenticare che i cittadini europei che vivono nel Regno Unito alla data del 31 dicembre 2020 possono presentare domanda per il pre-settled o settled status entro il 30 giugno 2021. Coloro che, invece, presentano la domanda per l’EU Settlement Scheme dall’estero, devono farlo entro il 31 dicembre 2020, dimostrando di essere stati residenti nel Regno Unito negli ultimi sei mesi dalla presentazione della domanda.
Consigli pratici
- I datori di lavoro dovrebbero attuare policy interne in grado di garantire che le richieste di tutti i dipendenti siano valutate in modo equo.
- Si consiglia di affidarsi a consulenti esperti per eventuali obblighi fiscali o previdenziali, questioni legate all’immigrazione o di lavoro nel paese ospitante.
- Concordare per iscritto i termini di qualsiasi contratto di lavoro permanente o temporaneo all’estero, secondo cui:
- il lavoratore è responsabile di eventuali dichiarazioni fiscali personali;
- il contratto di lavoro rimane soggetto alla legge e alla giurisdizione del Regno Unito (sebbene si noti, come sopra, che alle disposizioni si può in ogni caso applicare il diritto del lavoro locale);
- il lavoratore continua a lavorare esclusivamente per l’azienda britannica;
- il lavoratore non ha l’autorità per stipulare contratti con i clienti locali mentre si trova nel paese ospitante e non dovrebbe pretendere di avere tale autorità;
- il lavoratore deve essere in grado di procurarsi, in maniera autonoma, tutti gli strumenti necessari per il suo lavoro;
- il lavoratore deve rispettare tutte le indicazioni sanitarie applicabili sia nel paese in cui si reca che nel Regno Unito;
- se temporaneo, devono risultare dal contratto: la durata del periodo in cui il dipendente lavorerà all’estero e la data di rientro nel Regno Unito.