A causa del mancato accordo tra UE e gli altri Paesi UE considerati “quasi” Black List (Svizzera, San Marino, Liechtenstein, Andorra, Montecarlo), Austria e Lussemburgo hanno di fatto bloccato il processo per la firma dell’accordo per la rimozione del segreto bancario, inizialmente prevista entro la fine del 2013, con la conseguenza che tale termine slitterà ancora. Ciononostante, nella lotta contro il riciclaggio, sembra raggiunto ormai un punto di non ritorno.
In Svizzera, ad esempio, paese storicamente privilegiato dai cittadini italiani per le operazioni di trasferimento di capitali all’estero, ci si sta avvicinando a passo svelto (quanto meno, mai sperimentato prima) all’allineamento alle raccomandazioni antiriciclaggio dell’OCSE e del GAFI (il suo braccio operativo), cui aderire per non rientrare nella lista dei paesi Black List. Anche altri paesi (e non solo europei, ad esempio Singapore) stanno prendendo provvedimenti nella stessa direzione per cercare di non essere iscritti nella famigerata Black List.
La proposta di revisione delle norme che regolano la lotta al riciclaggio, sottoposta dal governo di Berna alle Camere Federali, amplierebbe la platea dei soggetti punibili, coinvolgendo non più solo gli autori del reato ma anche i professionisti che concorrono a vario titolo al reato. Tra questi: i funzionari di banca, i fiduciari, i gestori patrimoniali, i commercialisti e gli avvocati che dovessero trattare patrimoni di origine “incerta”. Se tale riforma del codice penale svizzero dovesse passare, sarà consentita la confisca dei capitali del reo in misura equivalente a quanto sottratto al fisco con l’operazione illecita. Inoltre le procure straniere potranno ottenere il sequestro dei proventi di frode depositati presso le banche elvetiche e, pare, non solo per i capitali detenuti direttamente, ma anche per quelli detenuti attraverso enti interposti.
E’ anche questo il motivo per cui, negli ultimi mesi, le banche svizzere stanno inviando ai loro clienti lettere dai toni ultimativi con cui si invita a scegliere tra la chiusura del conto o l’uscita dall’anonimato, generando il panico tra i clienti. In realtà i tempi di attuazione di queste rivoluzionarie riforme non saranno certo brevissimi. La convenzione internazionale per lo scambio di informazioni tra autorità fiscali, firmata ad ottobre del Governo elvetico, ancora dovrà passare il vaglio del voto in parlamento, probabilmente l’anno prossimo, e sarà soggetta a referendum popolare. La Svizzera avrà tempo fino a tutto il 2015 per adeguarsi, e ci vorranno ancora 2 anni prima che possa entrare in vigore. In caso di mancata ratifica, la Svizzera verrebbe inserite nella Black List a partire dal 2016. Quindi i veri effetti di questa “rivoluzione” elvetica si vedranno nell’arco di un decennio.
E in Italia? Nel Belpaese è ancora oggetto di studio e dibattito lo strumento legislativo con cui attivare la strada dell’auto-denuncia, oscillando tra chi giudichi non corretto tendere una mano a chi ha frodato il fisco e chi, più pragmaticamente, punterebbe a massimizzare il flusso di incassi previsto per l’erario, attraverso abbattimento delle sanzioni e la depenalizzazione dei reati connessi.
Nei giorni scorsi il Sole 24 Ore ha pubblicato quella che dovrebbe essere la soluzione messa in campo dal governo Letta per attirare i capitali detenuti all’estero dai nostri contribuenti più retrivi e che il governo vorrebbe inserire già nella legge di stabilità in discussione alla Camera.
Da quanto si ricava da questa bozze, e come già era trapelato, non si tratterà di un condono, perché le imposte evase saranno esatte per intero, né si tratterà di uno scudo fiscale, perché i titolari dei capitali, a differenza di quanto finora invece vaticinato (lo schema di autodenuncia con l’interposizione di un professionista “intermediario”), non rimarranno anonimi. Questo fatto avrebbe importanti ripercussioni sul professionista coinvolto nella procedura perché questi potrà richiedere solo informazioni generali senza svelare il nome del contribuente e i dettagli della sua specifica situazione, mentre, se nell’interesse del proprio cliente, dovrà rendersi necessario porre domande più dettagliate, sarebbe obbligato ad adempiere a tutte le verifiche e agli obblighi cui è tenuto dalla normativa anti-riciclaggio.
A questo proposito, il Governo dovrà anche decidere se fare propria una nuova figura di reato, “l’autoriciclaggio”: il contribuente che avrà esportato capitali sarà responsabile del reato di riciclaggio. Questo, nelle intenzioni del procuratore aggiunto del Tribunale di Milano Francesco Greco, responsabile del gruppo di lavoro che ha elaborato la bozza sulla voluntary disclosure italiana, dovrebbe spingere chi detiene capitali all’estero a cogliere l’opportunità dell’autodenuncia per non incorrere in reati penali davvero molto più gravi. Verrebbe estesa la punibilità anche all’autore del reato da cui proviene il denaro, mentre “attualmente è punito a titolo di riciclaggio soltanto chi non abbia commesso, o non abbia concorso a commettere, anche il reato presupposto”, come può leggersi nella relazione illustrativa.
Lo scenario temporale della “voluntary disclosure” in salsa tricolore punta ad un copioso rientro dei capitali entro il 30 settembre 2016 e le risorse che si spera di ritrarne finanzieranno già a partire dal 2014 e per tutto il triennio 2014-2016 il fondo automatico per tagliare il cuneo fiscale. Si è, al momento, in attesa di un provvedimento legislativo che recepisca queste indicazioni e di una successiva circolare operativa, con cui il contribuente potrà valutare la convenienza o meno, caso per caso, dell’accesso allo strumento.
Un elemento importante della “collaborazione volontaria” sarà la piena esimente della punibilità da 1 a 3 anni per i reati di infedele ed omessa dichiarazione e la riduzione della metà delle sanzioni previste per i reati più gravi di dichiarazione fraudolenta con false fatturazioni o artifici contabili, passando da un minimo 18 mesi a 9 mesi e da un massimo di 6 anni 3 anni di reclusione. Verrebbe anche prevista una ulteriore riduzione delle sanzioni della metà se le attività saranno detenute in paesi White List (quindi l’1,5% dell’importo non dichiarato) e una riduzione di un quarto nel caso resteranno in paesi Black List (quindi il 4,5% dell’importo non dichiarato).
Sono filtrate anche notizie sulle nuove linee guida dell’Agenzia delle Entrate riguardo il monitoraggio fiscale. Verrebbe definitivamente chiarito il nuovo quadro sanzionatorio previsto che già la Legge Europea dell’agosto del 2013 aveva profondamente rivisto al ribasso a partire dal 4 settembre 2013. In sostanza, viene confermato che, in osservanza del principio del favor rei, al contribuente andranno applicate le sanzioni previste a lui più favorevoli, indipendentemente da quando sia stata commessa la violazione: per le violazioni già commesse si applicheranno le nuove sanzioni ridotte. Gli uffici, una volta ricalcolate le sanzioni, dovranno annullare l’atto originario con un provvedimento in autotutela parziale. Successivamente, se il contribuente provvederà al pagamento di quanto rimasto pendente, l’ufficio chiederà l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere. Qualora, invece, il contribuente non intendesse definire il nuovo importo, il giudizio proseguirà sino alla decisione del giudice. L’annullamento parziale dovrà essere emesso anche in sede di mediazione per le cause soggette a tale obbligo. L’Agenzia, avendo preso atto che alcuni adempimenti sono stati eliminati (omessa o incompleta compilazione delle Sez. I e III del Quadro RW di Unico) dispone anche di abbandonare il contenzioso pendente, sempre qualora il contribuente ritenga opportuno farne richiesta in vista dell’estinzione della controversia pendente. Nei casi in cui sia prevista un minimo ed un massimo di pena, la rideterminazione dovrà tener conto anche della gravità della violazione e della condotta del contribuente, valutata dall’ufficio legale e dall’ufficio accertamento.
Come si diceva, la procedura di “collaborazione volontaria” non consentirà il mantenimento dell’anonimato perché verrà attivato direttamente dal contribuente stesso che invierà all’Agenzia delle Entrate una richiesta in cui dovrà indicare distintamente tutti gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero, direttamente o indirettamente, per tutti i periodi su cui il fisco può ancora procedere ad accertamento. Andranno indicate tutte le informazioni e allegati tutti i documenti necessari alla complicatissima ricostruzione dei singoli redditi (dividendi, redditi da immobili, redditi finanziari, ecc.) con cui tali patrimoni furono costituiti, acquistati o che oggi derivano dalla loro dismissione. Questo perché l’emersione volontaria darà luogo ad un vero e proprio accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate che dovrà ricostruire le aliquote da applicare distintamente. I casi di determinazione forfetaria potranno applicarsi solo a quelle situazioni che, anche per l’anzianità della loro formazione, non potranno essere ricostruite analiticamente.
L’amministrazione finanziaria potrà risalire temporalmente fino a quanto consentito dai normali parametri degli accertamenti. Quindi, ipotizzando l’entrata in vigore il 1° gennaio 2014, non si potrà risalire oltre il 2004 per l’omessa dichiarazione e il 2006 per l’infedele dichiarazione. Se un contribuente non avesse dichiarato le attività estere nel quadro RW, il termine previsto per i periodi d’imposta accertabili è di 5 anni, raddoppiabili per i paesi Black List, e decorrono dall’anno di mancata compilazione (es.: quadro relativo al 2008, si contano 5 o 10 anni a partire dal 2009).
Perché la dichiarazione di “collaborazione volontaria” esplichi i suoi effetti il contribuente dovrà versare in un’unica soluzione le somme dovute in base all’accertamento e le relative sanzioni entro i termini dell’accertamento stesso (60 giorni) o entro 20 giorni dalla presentazione dell’atto di accertamento con adesione. Il che fa dedurre che vi sarà comunque un accertamento che dovrà venir emesso, e che sarà preceduto da un contraddittorio durante il quale potrà definirsi il dovuto. Bisognerà qui porre molta attenzione perché, in caso di false attestazioni, si rischiano da 6 mesi ad 1 anno di carcere. L’intera procedura potrà essere attivata fino al 30 settembre 2016.
Entro 30 giorni dall’effettuazione dei versamenti dovuti, l’Agenzia delle Entrate comunicherà all’autorità giudiziaria competente la conclusione della procedura di “collaborazione volontaria”.
Non si potrà ricorrere allo strumento di voluntary disclosure se il contribuente avrà avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali per violazioni di norme tributarie relativi alle attività oggetto della “collaborazione volontaria”.
A questo punto, fermo restando che quando sarà chiaro e definito il quadro legislativo sarà opportuno fare una verifica caso per caso viene da chiedersi:
“Ma converrà aderire alla proposta di “collaborazione volontaria”?”
In effetti, lo sconto sulle sanzioni sarà molto forte e i reati penali connessi all’omessa o infedele dichiarazione saranno azzerati. Però sarà un’operazione da affrontare con prudenza. L’autodenuncia, ad esempio, una volta presentata l’istanza, andrà portata a termine perché non sarà coperta da anonimato. In caso di mancato versamento delle somme dovute l’Agenzia avrà a disposizione 1 anno di tempo per notificare un nuovo atto di contestazione con le sanzioni senza abbattimento. E le imposte dovute a seguito della “collaborazione volontaria” saranno le imposte in misura piena per le annualità ancora accertabili, senza alcun abbattimento o forfetizzazione. Sarà in alcuni casi complicatissimo reperire la documentazione utile alla ricostruzione dei redditi prodotti all’estero, specie se di natura finanziaria. Inoltre, non è ancora chiaro il quadro delle ripercussioni sugli obblighi relativi all’antiriciclaggio, né per consulenti, fiduciarie e intermediari né per quanto scaturirà in base al nuovo reato dell’autoriciclaggio.
La “collaborazione volontaria”, probabilmente, non riuscirà a determinare il rimpatrio della maggior parte dei capitali italiani detenuti all’estero come auspicato, perché, indipendentemente dalla bontà dello strumento legislativo che sarà approvato in via definitiva, la gran parte delle attività e investimenti detenuti all’estero da italiani non sono detenuti direttamente da persone fisiche ma per mezzo di società anonime residenti in un paradiso fiscale. Con le nuove disposizioni che entreranno in vigore negli anni prossimi anche nei paesi “quasi” black list”, a rischio saranno coloro che hanno esportato denaro senza averlo comunicato al fisco e avendo aperto un conto intestato direttamente a proprio nome, confidando sull’anonimato. Agli evasori eticamente meno attrezzati, basterà, nei prossimi mesi, spostare i conti intestati a proprio nome in filiali straniere degli stessi istituti attualmente recentemente irrigiditisi (quali quelli elvetici), per farli rientrare successivamente all’entrata in vigore della legge: la eliminazione del segreto, infatti, sembra che riguarderà solo i conti intestati a cittadini stranieri presso gli istituti nazionali (elvetici, ad esempio), non anche quelli detenuti presso le filiali di questi all’estero. Oppure, se già non lo avessero fatto prima, potranno intestare il conto a un fiduciario con residenza in qualche paradiso fiscale e potranno continuare indisturbati ad evadere.
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